Cinema e Amori
Arti visive
La prima volta che ho visto una mostra retrospettiva di Alighiero Boetti, portata da un amico, senza essere preparata, sono rimasta disorientata? sollevata? felice? davanti a un'estetica raggiunta con mezzi apparentemente minimi. Stupore e però piacere. Una porta si apriva nella testa, la sensazione di avere il permesso di poter fare liberamente fantasie, giochi, invenzioni.
Le produzioni di Boetti infatti, mi sembravano a torto facili da fare, che potevano venire in mente a chiunque: annerire i quadretti, riempire fogli con la biro, collages, stampini, buste con francobolli…
Anche oggi, dopo anni che lo seguo e ho gli strumenti per saper guardare meglio i suoi lavori, provo la stessa emozione difficile da definire con le parole, forse, per quella semplicità e modi che rimandano a esperienze infantili.
Non capivo allora la visione del mondo, i fondamenti della sua ricerca. Nel tempo invece scoprivo una mente complessa, in continuo movimento, che facendo diventare gioco le esperienze di tutti, sperimenta, mette a punto ossessivamente sistemi precisi …
Boetti guarda con occhio che mantiene la sorpresa a un mondo pieno di tanti eventi difficili e stimoli di tutti i generi, troppi? guerre, trasformazioni, corruzioni, morti, ma anche bellezza, emozioni. Un caos eterogeneo, un’irruzione di realtà diverse che sfuggono alla presa e alla comprensione totale.
In TUTTO (1987/88 ricamato in Pakistan da afghane esiliate), Boetti cerca di far entrare tutto il nostro quotidiano, quello che vediamo, gli oggetti che adoperiamo in un disordine elettrizzante per l’anima di ciascuno di noi: mette al mondo il mondo in un puzzle inestricabile di figure colorate. (foto 1 e 2)
TUTTO - particolare (2)
Questo riguarda anche l'enigma dell'identità del singolo, non uno ma molteplice, dove convivono tanti aspetti che si contraddicono.
Esprime questo ossimoro che ci appartiene: raddoppia sé stesso dimezzando il suo nome in ALIGHIERO E BOETTI. In un'opera fotografica in cui ritrae se stesso con un altro sé un po’ diverso GEMELLI (1968) dall’1 genera il 2, un dialogo fra l’identità personale e quella artistica (foto 3).
Gemelli 1968 (3)
Anche in IO CHE PRENDO IL SOLE A TORINO IL 19 GENNAIO 1969, 111 palle di cemento fatte a mano compongono la sagoma del corpo, un Io fatto di tante parti, tutte un po’ diverse. Su una delle palle vicino al cuore, è posata 1 farfalla gialla, con le ali aperte. Materia e psiche (psyké nel mondo classico greco era raffigurata spesso come una farfalla) (foto 4).
Io che prendo il sole a Torino (4)
Mi soffermo su uno solo degli interrogativi sottostanti che sembrano animare Boetti e stimolare la sua fantastica arte: il dilemma di come controllare questo caos del mondo in cui siamo intrisi e immersi anche noi umani. Uso la polarità ordine/disordine come una lente per vedere come lavora questo artista speciale.
La sua risposta di fronte all'instabilità inafferrabile dell’imprevisto e del caso, e all’inevitabile impotenza della ragione a padroneggiarla - temi filosofici di peso - sceglie di avventurarsi nel limite del terreno contenitivo costituito da schemi e operazioni matematiche. E lo fa con leggerezza, per lo più giocando. Per contenere quel disordine, adopera una struttura sempre diversa, combinando gli stessi elementi.
Quello che a me pare di un interesse straordinario è che non solo fa studi su studi per calcolare e ordinare, ma soprattutto non vuole che manchi nessuno dei due termini del conflitto, ordine e disordine, anzi la compresenza degli opposti diventa il fine vivo della sua arte.
ORDINEEDISORDINE (5)
Boetti ha fatto ricamare nel lontano Afghanistan dei riquadri con inscritte delle frasi, mettendo insieme immagine e linguaggio. Sembra cercare un ordine: le lettere occupano un quadrato, sono in stampatello, compongono parole, e queste a volte una massima, a volte una frase, a volte una data. Ma le lettere, lette orizzontalmente come di solito, non danno senso. Si passa del tempo per capire che solo lette dall’alto in basso, quelle lettere - difficili da decifrare perché ognuna è di un colore diverso dall'altra - formano parole che di seguito compongono un suo detto. Per esempio nel titolo ORDINEEDISORDINE (foto 5) - alla fine con quell’ ”e” definisce la sua filosofia di vita - il metodo mantiene magicamente nell’ordine il disordine o nel disordine un ordine: la scrittura fa ordine, mentre il disordine emerge con l'uso dei materiali e delle tecniche artigianali. Gli opposti restano insieme!
Boetti inventa modelli giocando con pazienza, ma poi ogni volta li sfida per dimostrarne l’imperfezione. Come riferisce sua figlia: “La metà e il doppio, la moltiplicazione e la divisione li vedeva dappertutto e li declinava in tante versioni diverse fino all'esaurimento delle possibilità e anche fino al suo esaurimento personale” (Agata Boetti, Il gioco dell'arte con mio padre Alighiero, Electa pag.126).
Quadratura del 1000 (6)
Per esempio la quadratura dei numeri: mentre l’1 è un quadratino perfetto, come il 100 (10 x10); invece il 10 (3x3+1) non è quadrabile e neppure il 1000 (31x31=961+39): “insopportabile! ovvero il sistema decimale fa schifo”! (foto 6).
Anche in STORIA NATURALE DELLA MOLTIPLICAZIONE (1974/75) seppure segua una regola ben precisa nei dodici fogli quadrettati, Boetti contraddice la griglia dei quadrettini con la libertà delle forme, inaspettate, sempre più numerose, sempre più articolate, sorprendenti per la fantasia delle figure che riesce a costruire via via che procede nei vari fogli. Il numero dei quadratini anneriti cresce con ritmo esponenziale e da una prevalenza del bianco l’equilibrio si sbilancia verso il nero (foto 7e 8).
Storia naturale della moltiplicazione (7)
Oeuvre postale fogli, 1993 (8)
Tuttavia proprio nel percorso complicatissimo che inventa, durante il quale si scontra con errori e incidenti, si esprime il lavoro della sua arte.
Nei lavori postali, che riguardano la comunicazione con il mondo, si realizza la sua convinzione concettuale (secondo cui è l’idea che conta) che l’artista lancia il suo seme, ma poi questo entra nella realtà e coinvolge il lavoro di molti altri anche inconsapevoli e l’opera si fa da sola. L’arte è un viaggio che va oltre l’artista.
Nel lavoro postale del 1960/70, inventa regole precise che però già contengono elementi fuori controllo: spedisce 26 lettere a indirizzi esistenti dove non abitano i destinatari a cui le manda. Persone famose come gli artisti Giulio Paolini e Bruce Naumann; o no, come il figlio neonato Matteo; magari già morti come Marcel Duchamp o lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan. Produce disordine. Le lettere tornano quindi indietro e ci mettono mesi. Dopo aver xerografato la busta tornata, la rimette in una busta più grande e la rispedisce in India, Africa, America… Ad ogni viaggio la busta diventa più grande. Le buste sono affrancate con francobolli di valore e colore diversi, in cui protagonista è la disposizione dei francobolli sulla busta secondo tutte le combinazioni possibili visive e spaziali. Ma il disordine riappare per il lavoro inconsapevole e fuori controllo delle Poste nel sovrapporsi dei timbri, nella densità degli inchiostri.
Questo vale anche per la monumentale OEUVRE POSTALE del 1993 de bouche à oreille (passaparola), perché Boetti dà via via le regole ad altri per realizzare l’opera. Vista nella sua completezza, esposta alla mostra all’Accademia di San Luca curata dal Presidente e anche artista Marco Tirelli, dove occupa per intero le quattro pareti di una grande stanza, impressiona il lavoro imponente di combinazioni, di amore per il potere della classificazione e di fantasia. Raggiunge un’ampiezza mai sperimentata avendo coinvolto l’intervento di un numero enorme di persone: assistenti, postini che ricevono la posta, postini che la distribuiscono, in particolare postini che la timbrano ognuno a modo suo, corniciai. La partecipazione di tanti produce evoluzioni imprevedibili dal punto di vista estetico.
La sua grandiosità si manifesta anche nella difficoltà di descriverla con chiarezza nella sua articolata complessità. Si tratta di una sequenza di elementi che crescono secondo i quadrati dei numeri naturali da 1 a 11 (il numero 11 è scelto da Boetti come 1 e 1: la duplicazione della cellula, la bipartizione del corpo umano, i gemelli, Alighiero e Boetti...).
La prima busta contiene 1 foglio: una pagina scritta con la mano sinistra con il programma dell’opera. La spedisce il 1/1 1993 da Parigi, con 1 francobollo quadrato al centro della busta, la Marianne blu.
Poi 4 buste (potenza di 2) con ciascuna 1 foglio, affrancate ciascuna con 4 francobolli; poi 9 buste (potenza di 3) affrancate con 9 francobolli, e così via: 16 buste (potenza di 4), 25, 36, 49, 64, 91, 100, fino al quadrato di 11 ossia 121 buste, contenenti ciascuna 1 foglio e affrancate ciascuna con i rispettivi francobolli, fino a 121!
Le buste arrivano al destinatario, il Magasin d’art contemporain de Grenoble, via via più numerose con un sempre maggior numero di francobolli affrancati. Ordine nella collocazione di ogni francobollo secondo tutte le possibili combinazioni, disordine nelle timbrature: i timbri sono tondi sull'insieme dei francobolli rettangolari, affrancati sempre in modo diverso. Ancora il casuale si intrufola nel programmato.
Boetti fa incorniciare ogni gruppo di buste in una teca, come anche ogni gruppo di fogli. Questi a loro volta seguono un ordine nella tipologia di forme, sempre diverse per ciascun gruppo, e un disordine nelle loro combinazioni rispettive (foto 9).
Oeuvre postale fogli, 1993 (9)
Alla fine espone le teche di buste con accanto le teche di rispettivi fogli, occupando un grande spazio. Diventano 11 blocchi, 11 postazioni di meditazione sull'ordine mentale contrapposto al disordine della creatività non solo dell’artista, anche dell’imprevisto. Anche in questo lavoro si ripropone l’idea che il bisogno di struttura per controllare il caos si scontra e si accompagna inevitabilmente al caos.
In AUTORITRATTO del 1993, scultura realizzata poco prima della sua morte per un tumore al cervello, l’artista si ritrae con una pompa in mano che versa l’acqua sulla sua testa (riscaldata) che restituisce vapore. Fino all’ultimo Boetti sa giocare rappresentandosi nella sua capacità di ricevere quello che gli piove addosso, e di restituirlo all’esterno trasformato (foto 10).
E’ prepotente in Boetti il grande sforzo di tentare di controllare la nostra impotenza di fronte al caos, giocando sia con l’ordine della logica, sia con il suo opposto disordine del caso e della fantasia, farfalla che vola di qua e di là.
Autoritratto (10)
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