Cinema e Amori
La Suggestione
“Amando scese nel sangue più antico, nelle voragini dove giaceva l’orrendo.”
(R.M. Rilke – Elegie duinesi)
Legami familiari, passioni che travolgono, trasgressione e provocazione: la narrazione filmica di Almodovar è un intreccio di realismo e onirismo dominato dalla legge dei sentimenti e del desiderio. Ed ecco un’umanità variegata sospinta dalla forza di passioni e istinti, fragile eppure forte perché capace di reinventarsi nonostante i fallimenti. Tutto ciò è messo in scena con libertà di giudizio, assenza di censure, ironia dissacrante e gusto per la provocazione e lo scandalo. Il suo cinema è sempre intensamente visivo e favoleggiante, si addentra nei labirinti di Eros e Thanatos in un tripudio di contrasti cromatici ed emozionali. Musiche, luci, montaggio e costumi, trucco e stili di recitazione, contribuiscono a creare un inconfondibile realismo passionale, sospeso tra espressionismo e iperrealismo, tra reale e surreale. Fisionomie ormai familiari a noi spettatori come per esempio quelle di Carmen Maura, Penelope Cruz, Rossy de Palma, Antonio Banderas, Maria Barranco, Marisa Paredes o Javier Barden, completano questo universo narrativo. Nel suo cinema si intrecciano grottesco, commedia, parodia e caricatura, dramma e melodramma, trasformandosi in una celebrazione emotiva disinibita e deliziosamente irriverente. Il regista madrileno canta le eterne contraddizioni delle passioni e degli affetti umani, senza mai essere normativo idealizzante o sdolcinato. Sullo schermo prende vita un’umanità variegata che travolge, diverte, travolge e scandalizza. Un Pantheon di antieroi: madri dolorose o gioiose, puttane, suore libidinose e casalinghe disperate, toreri, personaggi queer, transgender, omosessuali, outsider sfigati o vincenti. L’attenzione è sempre rivolta all’unicità di ciascuno, alla diversità, al non ovvio, alle aree estreme del ‘sentire’ umano dove l’amore sembra impossibile, costruttivo o distruttivo che sia.
Alcuni titoli sono iconici: L’indiscreto fascino del peccato (1984): dissacrazione della religione cattolica e pulsione omoerotica. Matador (1986): morte come estremo atto di libertà. Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988): omaggio alle donne dell’infanzia. Légami! (’89): grotteschi legami a lieto fine. Carne tremula (97): passioni e desideri sopravvivono a ogni “franchismo”. Tutto su mia madre (1999): la madre e la donna nelle loro infinite sfumature. Parla con lei (2002): amore non ricambiato, amicizia, melanconia maschile. La mala education (2004): turbamento adolescenziale e scoperta omosessuale. Volver (2006): morte, ricordo, follia dell’amare. Madres parallelas (’21); maternità, legami di sangue, memoria individuale e memoria collettiva. Sono titoli e tematiche entrati definitivamente nell’immaginario cinematografico collettivo.
La stanza accanto di Pedro Almodóvar, 2024
Almodovar esplora l’amare in tutte le sue sfumature: tenerezza struggente e sberleffo, l’amare dolce e quello ossessivo, il desiderio che diventa possesso e dipendenza distruttiva, fino agli abissi mortiferi. La spinta di Eros, che gioiosamente oltrepassa barriere e moralismi, censure e omofobie, può mutarsi in Thanatos, che distrugge e annienta.
Ma l’amore è anche dolore. L’amare, nel cinema di Almodovar, è libero, eppure neanche il diritto all’amore diverso, oltre i tabù sociali religiosi e bacchettoni, mette al riparo dal dolore. E’ l’amare stesso che ci espone alla sofferenza: “Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l’oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici” (S. Freud, Il disagio della civiltà,1930).
Amore, dolore e memoria sono inscindibili: nel ricordo c’è la possibilità di ritrovare ciò che si è amato e perduto, di perdonare il passato per ciò che non è stato. Le nostre radici sono memoria delle gioie, dei legami familiari e dell’infanzia innocente. Siamo ciò che abbiamo amato e vissuto. E l’amore rende vivi anche quando stiamo morendo E’ proprio questo il tema dell’ultimo film di Almodovar, La stanza accanto (Leone d’oro (Venezia 2024).
“Un film che parla di una donna agonizzante, in un mondo che a sua volta lo è”- dice il regista. Ma questa sceneggiatura di Almodovar tratta dal romanzo di Sigrid Nunez What Are You Going Through (Attraverso la vita) va ben oltre l’agonia. Racconta Martha e Ingrid, due donne legate da un’antica amicizia che si ritrovano dopo anni. Tra le cose più belle della vita esiste la fortuna d’incontrare in un’amica ciò che non è stato possibile trovare in una sorella, solidarietà, condivisione di sogni, sfide, sconfitte e vittorie insieme, ma esiste anche la fortuna di poterla ritrovare dopo anni di lontananza. Martha e Ingrid adesso sono nel pieno delle loro esistenze. Martha (Tilda Swinton) la coraggiosa reporter di guerra ‘dominatrice nelle avversità’, come nell’etimo del suo nome, è ora malata terminale; Ingrid (Julianne Moore) è scrittrice di biografie romanzate. Un curioso mestiere quello che porta sui teatri di guerra per vivere e raccontare la morte. P. Valery, con feroce sarcasmo, definisce la guerra come quel paradosso in cui si: “massacrano persone che non si conoscono, nell’interesse di persone che si conoscono, ma non si massacrano”.
Légami! di Pedro Almodóvar, 1989
Nella stanza di un ospedale che sembra fatto per dare la vita eterna, le due amiche si confrontano sulla morte. Per loro è come se gli anni non fossero trascorsi, ma chi conosce quel tipo di amicizia femminile sa bene che le cose vanno proprio così, anche senza vedersi il legame resta presente e vivo, il tempo non conta. Martha si confida: “Non voglio andarmene in umiliante agonia! Ho una pillola pe l’eutanasia. Ti chiedo solo di essere presente, nella stanza accanto”.
Almodovar affronta il tema con delicatezza, esplorando la libertà di scegliere l’uscita dall’esistenza prima che la malattia spenga l’esistenza di sé. E’ suicidio o una forma di consapevole arbitrio la scelta di Martha? Si entra nei vicoli bui dell’essere quando si è accanto a chi, avendo i giorni contati, chiede aiuto per fronteggiare la morte. Siamo immersi in dimensioni che vorremmo evitare, lontanissimi dalle certezze moralistiche e rassicuranti del sadico poliziotto quacchero che interrogherà Ingrid sull’accaduto. I portatori di certezze incrollabili sul vero e sul giusto non smettono mai di latrare.
“Il mio film - afferma Almodovar - è pro eutanasia, abbiamo diritto a una morte dignitosa”. Ma il film non si riduce a una presa di posizione sull’eutanasia, è una celebrazione dell’amicizia e dell’amore come legame che trascende il tempo.
Mi è difficile immaginare questa vicenda al maschile, forse perché sono donna e mi colpisce vedere come Almodovar riesca a entrare nei registri del femminile riconoscendo una peculiare libertà d’accesso alla verità emotiva profonda. Se non possiamo determinare la venuta al mondo possiamo deciderne l’uscita? Martha opta per questo diritto. Un dove, un’amica capace di essere con lei, un tempo necessario a prepararsi dialogando e ricordando. A mio avviso le espressioni suicidio ed eutanasia hanno poco a che vedere con questo film dove prevale la buona relazione con la vita e con se stesse. E’ questo io credo che permette alle due donne di restare emotivamente vicine fino all’ultimo. Forse il coraggio di vivere la vita dovrebbe comprendere anche la propria morte. Moriremo perché siamo nati. Con l’espressione ‘essere per la morte’ Heidegger indica che la possibilità di dare una direzione alla vita sta nella presa di coscienza della morte. A venti anni da Le invasioni barbariche (D. Arcand, 2003), Almodovar torna su questa spinosa tematica con tutta l’humanitas che caratterizza il suo cinema. C’è una pietas per chi vive i “giorni contati” e una per chi accetta di cum-dividere quei giorni. Sono gesti immensi fondati sull’amore per la vita, nostra e altrui. La porta aperta della stanza di Martha rappresenta l’affacciarsi al senso dell’esistenza. Siamo bizzarri noi umani che, pur sapendo che “moriremo perché siamo nati” (Montaigne), campiamo alquanto indisposti alla riflessione sulla morte, nostra e altrui.
Donne sull'orlo di una crisi di nervi di Pedro Almodóvar, 1988
Il film pone domande cruciali. Non scegliamo l’ingresso alla vita, c’è diritto d’ uscita dalla malattia terminale? L’accanimento terapeutico è un atto d’amore? E’ giusto prolungare artificialmente l’agonia? Quale etica impone di escludere il libero arbitrio di chi soffre e inchiodare corpi incoscienti a dispositivi meccanici di sopravvivenza biologica? infliggere cure che prolungano il dispiacere di vivere?
Nel buio della sala, fino all’ultimo si resta sospesi, sommersi dalla delicata verità di una vicenda durissima. La stanza accanto interroga, commuove e ci ricorda che la morte è parte della vita.
Una voce dal Time: "…se è possibile fare un film gioioso sulla morte, Almodóvar ci è riuscito”.
Titolo originale: The Room Next Door
Anno di produzione: 2024
Paese di Produzione: Spagna
Regia: Pedro Almodovar
Soggetto: Attraverso la vita, Sigrid Nunez
Sceneggiatura: Pedro Almodovar
Fotografia: Eduard Grau
Musiche: Alberto Iglesias
Cast: Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola
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