Cinema e Amori
Cinema e Psyche
La gelosia è un sentimento connaturato all’essere umano, provocato dalla convinzione vera, o presunta della perdita dell’oggetto d’amore. È profondamente radicata nell’inconscio (Freud) ed è presente sin dalle prime esperienze infantili nei confronti dei genitori e dei fratelli e sorelle. Nel cinema il tema dell’amore/gelosia è molto presente in tutte le sue manifestazioni ed intensità, nella commedia come nel film drammatico ed è raccontato con sfumature ed approcci diversi a seconda dei periodi storici. La presenza sempre più rilevante della donna nella società e l’evoluzione della libertà sessuale hanno cambiato il modo di raccontare le relazioni uomo-donna senza ricorrere troppo a stereotipi e finzioni. Dalle commedie con Doris Day casalinga americana sempre sorridente e prossima a raggiungere il paradiso, siamo passati a Meg Ryan ed a Jennifer Aniston interpreti di storie dove la vita amorosa è un po’ più complessa ed il gioco degli equivoci dovuto all’amore/gelosia, più divertente (Harry ti presento Sally). Anche nel cinema europeo ritroviamo lo stesso percorso, da commedie rosa a commedie rosa con sfumature di noir e problematiche più reali. Un proprio stile troviamo nelle commedie francesi dove leggerezza e umorismo riescono ad evitare la superficialità e la banalità anticipando Woody Allen. Uscendo dal genere della commedia, nei film di oggi l’amore/gelosia è raccontato nella sua complessità ed è presente l’esperienza della perdita -separazione dall’altro- la cui elaborazione potrà portare a soluzioni e scelte diverse.
Qui di seguito cercherò di analizzare tre film dove l’amore e la gelosia giocano un ruolo determinante: La ragazza con la pistola, Psyco e Medea.
La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, 1968
La ragazza con la pistola. Anche la commedia all’italiana ha avuto nel suo ultimo periodo una protagonista femminile che, diretta dai migliori registri di allora ha regalato interpretazioni di grande bravura: Monica Vitti. Il primo film interpretato da Monica Vitti come attrice comica è stato La ragazza con la pistola con la regia di Monicelli nel 1968; ed è la prima volta che un’attrice è protagonista assoluta in un film comico italiano.
Il personaggio è quello di Assunta, ragazza siciliana rapita, sedotta e abbandonata da un giovane prepotente del suo paese fuggito a Londra. Assunta per vendicare il suo onore parte anche lei per Londra armata di pistola e coltello. Il suo incontro scontro con la Londra trasgressiva, anticonformista degli anni ’60 sarà per Assunta un’esperienza di educazione sentimentale, di scoperta di sé e degli uomini, anche quelli con i capelli lunghi, che la porterà finalmente a vivere: lavorare, guadagnare, fare amicizie, indossare la minigonna e cantare le canzoni del suo paese in una trattoria. La gelosia si attenuerà con il suo cambiamento e, quando incontrerà finalmente l’uomo che doveva uccidere, la situazione si capovolgerà e sarà lei che lo inviterà a fare l’amore. Di buon mattino però lo lascerà addormentato e partirà per raggiungere il suo amore inglese.
Psyco (1960) diretto e prodotto da Alfred Hitchcock, interpretato da Janet Leigh e Antony Perkins, è stato uno dei film più famosi e di maggior successo del regista il quale, nella lunga intervista realizzata da Francois Truffaut dichiarò che la maggiore soddisfazione per quel film era stata quella di essere riuscito, con la sua fabbrica delle immagini, a coinvolgere emotivamente il pubblico di tutto il mondo. “La costruzione di questo film è molto interessante ed è l’esperienza più appassionante di gioco con il pubblico. Con Psycho mi comportavo come fa un direttore con la sua orchestra, era proprio come se stessi suonando l’organo.” Tratto da un romanzo ispirato a una storia vera, Hitchcock era stato colpito soprattutto dalla scena della donna pugnalata a morte sotto la doccia. Durante tutta l’intervista ci parla di tecnica, di spazi e di fotogrammi, ma, in realtà, racconta la sua idea di cinema: un lavoro artigianale da costruire ogni volta per rendere riconoscibile non la realtà, ma il racconto della realtà filtrato dall’immaginario del pubblico e delle sue aspettative. Nelle sue favole nere non è importante la storia ma come si racconta con tempi lenti o accelerati, e soprattutto portando lo spettatore dentro lo schermo, partecipe, curioso, voyeur di quanto sta succedendo contraddicendo le possibili identificazioni iniziali tra buoni e cattivi, tra bene e male. I luoghi che fa esplorare sono contigui alla normalità, incutono timore, paura e ansia per mondi oscuri e sconosciuti che richiamano esperienze e pensieri antichi e rimossi, come l’ansia partecipe per il ladro che sta svaligiando un appartamento, sapendo che sta per arrivare la polizia.
Medea di Pier Paolo Pasolini, 1969
La complessità dell’animo umano, che Hitchcock conosceva da maestro, grazie anche a una storia personale difficile e dolorosa, lo porta a rappresentarla nei suoi film, offrendo agli spettatori un’esperienza catartica, comunicandogli un’idea della vita più intensa e complessa.
La storia è quella di Norman Bates, giovane uomo, misterioso e solitario, che vive in una casa a tre piani, altrettanto oscura e misteriosa, con una madre invalida, della quale sentiamo solo la voce arrabbiata ed imperiosa nei confronti del figlio. Norman gestisce un motel situato vicino alla casa, poco frequentato e decaduto, dopo che è stata deviata l’autostrada di alcune miglia. Qui arriverà Marion Crane (Janet Leigh), bella e giovane segretaria di un’agenzia immobiliare, la quale, tradendo la fiducia del suo capo, si era appropriata di quarantamila dollari (nella speranza che il suo amante potesse così divorziare) ed era fuggita con il bottino usando la propria macchina. Nei primi dieci-quindici minuti del film abbiamo seguito la storia di Marion, la sua vita, solitaria ed infelice e la sua fuga, convinti che quella fosse la storia principale del film e della quale avremmo dovuto occuparci, se non altro perché Marion è interpretata dalla star dell’epoca, e una star non può morire all’inizio del film! Durante l’incontro tra Norman e Marion al motel, l’uomo parla della madre invalida e delle sue difficoltà a gestirla ma, all’osservazione di Marion, di portarla in una clinica, risponde che la madre è la persona più buona e migliore del mondo. Finita la rapida cena, Marion, andando nella sua camera, pensa di aver commesso un grande errore e matura la decisione di restituire i soldi rubati. A questo punto, da spettatori, pensiamo che Marion è una ladra ma è pentita e che Norman sembra strano, ma ha una madre tremenda. La scena successiva è quella della doccia dove Marion muore. Per girarla ci sono voluti sette giorni, il suo corpo appare ripiegato e il volto coperto mentre viene aggredita e pugnalata da un assassino, probabilmente, una donna. Questo è il momento di maggiore efferatezza e violenza, quello che appare è una donna fatta a pezzi con un pugnale mentre urla e si dimena coprendosi il volto, completamente nuda, indifesa e senza via di scampo, sembra uno stupro, e/o una fantasia di stupro. La tensione di chi guarda è al massimo: in quella casa c’è un mostro che può riapparire e colpire ancora. Norman riappare, scopre il delitto ed urla: “Mamma, oh, mio dio! Mamma del sangue, del sangue!” sembra veramente sorpreso, preoccupato e allarmato. Quindi mette tutto in ordine, pulisce il bagno, attento a non lasciare tracce porta il cadavere di Marion, con i suoi vestiti la valigia ed i soldi, dentro la macchina di Marion che spinge dentro uno stagno che la sommerge senza lasciare tracce. Tutto è cancellato, ma la scomparsa di Marion preoccupa la sorella che con il fidanzato di Marion si mettono sulle sue tracce. Il primo ad arrivare al motel sarà un investigatore incaricato di recuperare il denaro sottratto, parla con Norman che, preoccupato dalle domande dell’investigatore, si rifiuta di fargli incontrare la madre. L’investigatore se ne va, ma dopo un colloquio telefonico con la sorella di Marion decide di tornare al motel e di parlare con la madre. Sale al primo piano della casa in cerca della vecchia signora e viene accoltellato da una fuggevole immagine femminile. Nel frattempo, lo sceriffo di Phoenix interrogato dalla sorella di Marion le comunica che la madre di Norman è morta da dieci anni. Vanno al motel, dove la ragazza scende in cantina e scopre con orrore il cadavere imbalsamato della madre e viene aggredita da una donna che perde la parrucca: è Norman, contemporaneamente se stesso e la madre defunta, le due personalità coabitano. Norman ha ucciso la madre ed il secondo marito di lei, per punirla del tradimento, di averlo abbandonato per un altro padre. Dietro la rabbia e la gelosia si intravede la passione folle per lei, che rimane sempre l’oggetto irrinunciabile che non consente un lutto esperibile. Tutta la struttura psichica di Norman mira ad una fantasia fondamentale, conservare la madre imbalsamata e mantenerla in vita con un continuo scambio tra lui e la madre della quale è il guardiano ed unico possessore, mentre lei occupa e colonizza la sua mente uccidendo qualsiasi pulsione e desiderio di vita. Dopo l’arresto Norman scompare nella madre, perde la propria voce e parla solo con la voce della madre. Norman non c’è più. E’ interessante che il pubblico di tutti i paesi del mondo abbia visto ed apprezzato questo film senza sentimento di estraneità o di rigetto, grazie al suo regista che è riuscito durante la durata di tutto il film a coinvolger lo spettatore, spaventarlo, impaurirlo e poi liberarlo dall’angoscia: siamo entrati nel tunnel della morte ma ne siamo usciti illesi.
Anche se un critico di allora, di cui non ricordo il nome, disse: “Certo ora non sarà più così tranquillo farsi una doccia.”
Sul mito di Medea raccontato da Euripide (431 a.C.) Pier Paolo Pasolini ha realizzato un film nel 1969, che ripercorre la storia di Medea attraverso immagini che ci riportano in un mondo primordiale, barbaro e selvaggio, dove vivono uomini primitivi che affidano a riti sanguinari e crudeli tutte le loro paure e tutte le loro speranze di sopravvivenza. La natura è sacra, dominata da dei buoni e cattivi che chiedono sacrifici umani “…non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tienilo bene in mente. Quando la natura ti sembrerà naturale, tutto sarà finito”- dice il centauro a Giasone bambino. “Nel mito c’è un rapporto simbiotico tra uomo e natura e lì alberga il sacro il divino la poesia; quando la ragione (la storia) prevale perde il senso dell’umano.” Questa l’interpretazione di Pasolini del mondo antico, separato dal mondo classico greco. La convivenza tra due universi inconciliabili, sempre in conflitto, in cui l’uno o l’altro non può che soccombere.
Siamo nella Colchide dove regna un re, Eeto, cupo e sanguinario. Medea è sua figlia, maga e selvaggia, forte e libera da regole e leggi. La violenza e l’eccesso sono parte della sua natura. Medea s’innamora di Giasone, il giovane greco venuto per rubare il vello d’oro. Travolta da una grande passione che non può padroneggiare, “…io so che sto per compiere una cosa orribile ma il mio impulso è più forte della mia volontà”. Medea per Giasone tradirà la sua famiglia, ucciderà il fratello facendolo a pezzi, e donerà a Giasone il Vello d’oro con un gesto terribile di amore e devozione. E’ grazie a Medea ed ai suoi veleni e pozioni, che Giasone riesce a raggiungere le navi ed a salpare con Medea per far ritorno in patria.
Nella tragedia di Euripide, questa prima parte viene raccontata dalla stessa Medea al coro delle donne di Corinto, Pasolini al contrario, fa una contrapposizione culturale tra due mondi e due civiltà diverse, mentre nella tragedia i due mondi non ci sono, ma personaggi con storie raccontate da immaginari diversi a degli spettatori in grado di condividerne fantasie ed emozioni. Nella tragedia greca l’irrazionale domina ed i suoi eroi ed eroine compiono atti estremi. La sua grandezza è nella capacità di rappresentare la complessità dell’animo umano, specchio dei suoi desideri più segreti. È vero che per i greci, autori del mito, Medea è straniera ed appartiene ad un altro mondo, ma il mondo di Medea, che esprime esclusività e desiderio di possesso, simbolo della gelosia che arriva fino al delitto ed alla crudeltà, è parte dell’immaginario del mondo greco. I greci sono profondi conoscitori dell’eros e della sua forza: “…se a due amanti proprio nel momento in cui sono a letto insieme, si avvicinasse Efesto con i suoi strumenti e domandasse: “cosa volete che vi succeda ora?” E se quelli non sapessero che rispondere, e se dicesse ancora “…forse desiderate questo, di stare uniti tra voi in modo da non lasciarvi mai, notte e giorno? Se volete questo, vi fonderò e vi unirò in una sola natura, in modo da farvi diventare uno da due che siete. Così vivrete come un essere unico per tutta la vita, e quando morirete sarete uno solo laggiù nell’ade, insieme anche da morti. Se volete questo lo farò. “…io dico che nessuno dei due si tirerebbe indietro e non esprimerebbe altro desiderio, ma penserebbe di aver sentito quello che voleva da tempo, cioè fondersi con l’essere amato e da due diventare uno.” (Platone, Simposio) La Medea di Pasolini è rappresentata in un mondo senza parola, preistorico, una possibile ricostruzione archeologica ed antropologica.
Nell’incontro con Giasone, Medea trasferisce sull’uomo il sacro ed il divino del suo mondo, bello come un dio, eroe impavido, si immerge nell’eros, dove la passione ed il desiderio la portano ad una unione simbiotica e confusa con l’altro senza separatezza. Nell’unione si sente altrettanto potente ed eroica: è figlia del sole, principessa e maga, convinta che la sua identità sopravviverà alla diversità ed alla perdita. Dopo dieci anni di peregrinazioni i due arrivano a Corinto presso la corte del re Creonte, con i loro due figli. Ed è qui che Giasone seguendo una logica fatta di ambizione e convenienza, decide di lasciare Medea e di sposare Leuce, la figlia del re, per poter finalmente salire al trono. Per Medea è una ferita profonda che non potrà rimarginare, non ne ha gli strumenti e non comprende le ragioni ‘di stato’ addotte da Giasone che improvvisamente le appare come un uomo senza valore. Il colpo è terribile: l’uomo al quale ha sacrificato tutto la tradisce e vuole lasciarla rompendo quel patto sacro e divino di unione indissolubile. Rabbia e vergogna feriscono il suo orgoglio trasformandola in un animale ferito e morente. L’amore diventa odio e desiderio di vendetta; follemente lucida progetta il suo piano omicida. Medea non può subire passivamente il tradimento, deve riaffermare la sua volontà, il suo orgoglio glielo impone: distruggerà Giasone ed ucciderà i suoi figli. Euripide è con lei, il coro delle donne assiste al massacro inorridito testimone, ma non condanna, compatisce e nella fuga di Medea sul carro del Sole riconosce il divino inspiegabile della donna.
Nel film Medea compie la sua vendetta con due diverse modalità: prima in sogno chiama i suoi figli e dà loro i suoi più bei vestiti perché li portino a Leuce, come dono di nozze. I ragazzi vanno e consegnano il dono, la principessa sorpresa ed incantata dalla bellezza delle vesti le indossa e, non sapendo che sono cosparse di veleno, prende fuoco e muore tra le fiamme insieme al padre che, sentite le urla della figlia, tenta invano di salvarla. Nella scena successiva, Medea manda i suoi figli da Leuce con le vesti, ma non c’è il veleno. La principessa le indossa ma guardandosi allo specchio vede Medea e, presa da sensi di colpa per la donna rivale corre fuori della reggia e, pentita, si butta dalle mura del palazzo. Anche il padre sopraggiunto, disperato per non aver saputo proteggere la figlia dalla maga, si butta e precipita con lei. Morta la principessa ed il re, Medea accarezza i figli e li lava, li asciuga, li veste per la notte, dà loro una pozione e li uccide. Quando arriva Giasone è troppo tardi.
Trasformando in odio il suo amore per Giasone, Medea uccidendo il desiderio uccide i figli che sono la sua realizzazione. Il bambino che si pone tra il padre e la madre, presente dall’inizio del suo concepimento, viene disinvestito e sentito estraneo quando il legame è perso, distrutto. Inoltre, Medea non può separarsi dai figli nè pensare che possano sopravvivere senza di lei. Non c’è speranza, solo la morte pone fine al dolore ed alla disperazione. Colpire Giasone attraverso i figli porterà Medea ad una perdita narcisistica insanabile e ad una eterna morte ‘bianca’.
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