Cinema e guerra
Festival
Il tema della guerra declinato attraverso differenti generi ha attraversato come un file rouge la XVII Festa del Cinema di Roma veicolando memorie e vissuti di eventi storici che hanno segnato indelebilmente la coscienza collettiva.
Janvāris (January) di Viesturs Kairišs – premio Miglior Film Progressive Cinema e Migliore Regia – è ambientato a Riga nel gennaio 1991 in un momento storico drammatico per la Lettonia. Il regista lituano, che con altri giovani filmmaker documentò l’invasione dei carrarmati russi, racconta il risveglio del paese attraverso la storia di Jazis (Kārlis Arnolds Avots, premio Migliore Attore Protagonista), un timido diciannovenne i cui genitori come tutta la Lettonia sono divisi tra la fedeltà al comunismo e il desiderio d’indipendenza. Per non arruolarsi nell’esercito sovietico Jazis si iscrive ad una scuola di cinema dove incontra Anna (Alise Danovska). Il regista Viesturs Kairišs costruisce un racconto di amori indissolubilmente legati: l’amore del suo paese per la libertà, il primo amore di Jaziz per Anna, l’amore per il cinema di Tarkovskij che permea tutto il film e l’amore per un cinema che si nutre di verità. La macchina da presa che Jazis porta ovunque come parte di sé riflette il percorso di crescita del protagonista. Dall’incapacità di avere una visione nitida – come quando il giovane filmmaker filma la repressione della polizia segreta russa all’inizio del film o non riesce a cogliere fino in fondo la natura libera di Anna – all’irrompere brutale della realtà. Anna viene infatti scelta come assistente da Juris Podnieks – il regista che documentò la lotta delle nazioni baltiche contro l’Unione sovietica – e Jaziz viene arruolato mentre le strade si riempiono di barricate e i carrarmati russi impongono la violenza. Ma è proprio il sentirsi tradito a permettere a Jaziz di “inquadrare” la propria ribellione e quella del suo paese comprendendo il senso profondo degli avvenimenti oltre i sogni e le illusioni. Janvāris è stato scelto dalla Lituania come candidato all’Oscar 2023.
Janvāris di Viesturs Kairiss, 2022
La regista Mounia Meddour nata ad Algeri e trasferitasi in Francia con la famiglia durante il “decennio nero” – gli anni novanta della negazione dei diritti in cui ambientò il coraggioso film di esordio Non conosci Papicha – si addentra nuovamente nell’universo femminile dell’Algeria di oggi. Houria, presentato nella sezione Progressive Cinema, porta il nome della sua protagonista, una giovane donna che come Papicha si ribella al potere patriarcale. Houria (Lyna Khoudri) di giorno fa le pulizie in un albergo e la sera si sottopone a duri allenamenti per danzare la lotta di Odette nel Lago dei Cigni; come tutte le eroine di Mounia Meddour non vuole vivere nei recinti imposti dal genere: non porta il velo, non vive con un uomo accanto e all’uscita dalla scuola di ballo scommette sui combattimenti clandestini di arieti frequentati da uomini. Con i soldi delle vincite Houria vuole aiutare una amica a lasciare l’Algeria ma la violenza di un ex terrorista islamista intenzionato a derubarla spezza per sempre il suo sogno di diventare ballerina. Ferita gravemente nel corpo e nell’anima, decide di chiudersi nel silenzio. Sarà la sorellanza e la solidarietà di altre donne algerine ferite, zittite come lei ma non piegate dal potere, a sostenere Houria nel percorso di riabilitazione e di ri-scoperta di un nuovo modo di “danzare” la libertà.
Nella sezione Freestyle, il documentario di Giorgio Treves La croce e la svastica ha ricordato gli orrori perpetrati dal regime nazista durante la seconda guerra mondiale. Attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, l’analisi degli storici e le ricerche effettuate sui materiali non più secretati dell’archivio del Vaticano, Treves racconta le ragioni che portarono alla deportazione nel campo di Dachau di cattolici, protestanti, ortodossi e testimoni di Geova. Il suo documentario si addentra nei compromessi e le ambiguità della chiesa sugellati già prima dello scoppio della guerra dal Reichskonkordat, il Concordato fra la Santa Sede ed il Reich Germanico del 1933. Giorgio Treves, discendente da una famiglia scampata all’Olocausto, entra nella Storia spinto dalla necessità di indagare una realtà oscurata deliberatamente per molto tempo; il suo sguardo fermo ma sensibile parte dal passato per ricongiungersi ad un presente preoccupante che non riesce a fare tesoro della memoria di eventi catastrofici.
Tra i tanti film che esplorano il tema della guerra, Rapiniamo il Duce di Renato De Maria esce dai generi tratteggiando in un “fumetto” gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale. Il film, prodotto da Netflix, è ambientato a Milano nel 1945. Nella città presidiata dai nazifascisti, una banda di malviventi capeggiata da Isola (Pietro Castellitto), il re del mercato nero, si prepara ad una impresa folle. Grazie all’intercettazione di un messaggio criptato, la banda rapinerà l’oro di Mussolini che il gerarca fascista Borsalino (Filippo Timi) ha il compito di trasportare in Svizzera nel momento della sconfitta del regime. Li aiuterà Yvonne (Matilda De Angelis), la cantante di cui Isola è innamorato, cercando di carpire al suo amante Borsalino le informazioni necessarie alla rapina. Renato De Maria costruisce un film raffinato che mescola suspense, ironia, folli sparatorie nella famigerata “Zona nera”, inseguimenti mozzafiato alla storia d’amore di Isola e Yvonne. “Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto” canta Yvonne/Matilda De Angelis interpretando magistralmente la canzone Amandoti. Da segnalare tutti gli interpreti e la colonna sonora.
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