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Nel maggio del 1977 uscì, negli Stati Uniti, il primo film di Carlos Saura Cria cuervos con la toccante interpretazione di Géraldine Chaplin e quella straordinaria dell'attrice bambina dai grandi occhi tristi, Ana Torrent. Il film ebbe grande successo, ricevendo il Grand Prix Spécial della Giuria al 29°Festival di Cannes. Il titolo del film cita l'inizio di un proverbio spagnolo che recita così: “Alleva i corvi e ti caveranno gli occhi”, anticipando cupamente il tema della complessità e conflittualità dell'animo umano nella relazione con le figure genitoriali.
La storia è ambientata in una bella casa madrilena nel soffocante periodo del declino del regime franchista che fa da sfondo simbolico ad una tragica estate nella quale tre sorelle di 12, 7 e 4 anni affrontano l'elaborazione della perdita prematura della loro giovane madre, affetta da un male incurabile, e la successiva morte del padre per infarto durante un amplesso con la sua amante.
Saura, con grande sensibilità e maestria, quasi come farebbe uno psicoanalista esperto, entra nell'animo della bambina di 7 anni, Ana, e partendo dal suo mondo interno di cui i suoi occhi sono lo specchio, affida a lei il compito di narrare ed esprimere il dolore, le emozioni ed i bisogni profondi che si snodano in visioni oniriche, fantasie, costruzioni magiche.
Ana soffre per la mancanza della madre ed è attanagliata dal bisogno di tenerezza, di accudimento, di contatto. Cerca conforto nelle sue sorelle, nell'accudire un suo porcellino d'india, nell'ascolto ripetuto sempre dello stesso disco, ma non basta.
Ana si rifugia in una fantasia onnipotente di poter far tornare la madre a suo piacimento, strizzando gli occhi. Ana sogna e brama di riavere la madre e, solo con la forza del suo desiderio, riesce a vederla accanto a sé in una sorta di allucinazione ricorrente.
Contemporaneamente sviluppa un odio feroce nei confronti del padre, generale franchista duro, autoritario e prepotente.
Ana si era accorta dei tradimenti del padre, avendo assistito a frequenti scenate di gelosia della madre e sorpreso il padre in atteggiamenti equivoci con varie donne e lo ritiene responsabile della malattia e della morte della moglie. Tanto forte e struggente è la nostalgia per la madre quanto intenso è l'odio verso il padre al punto di desiderare di ucciderlo. Ana si convince di essere lei la causa della sua morte perché gli ha somministrato di nascosto una polverina (innocua) che credeva essere un potente veleno. Saura in effetti celebra nel suo film la caduta, caposaldo della psicoanalisi, di due miti: quello dell'innocenza infantile e l'idea che l'infanzia sia l'età della spensieratezza e della beata felicità. Basti pensare al concetto di poliformismo perverso dell'infante.
In Ana in effetti albergano e convivono eros e thanatos, amore e distruttività anche perché non è in grado di concettualizzare il significato di morire e di far morire, se non legandolo alla necessità di tener lontano il dolore, un modo primitivo di far sparire chi ti fa soffrire. Ana fa comparire la madre e fa sparire il padre. Dare la vita e dare la morte, in un certo senso, si equivalgono. Forse la rabbia di Ana è anche rivolta alla madre dalla quale si è sentita abbandonata. Anche la zia, sorella della madre, arrivata nella loro casa per accudire le nipoti orfane, è per Ana un oggetto detestabile perché, nel suo vissuto, pretende di sostituirsi all'insostituibile.
Molto si è scritto e rappresentato dell'adolescenza e poco delle fasi che la precedono, liquidandole come fase di latenza in cui, dal punto di vista psicologico, poco accadrebbe. Il merito di questo film sembra essere di aver messo a fuoco la mente di una bambina prepubere, immersa in un processo di crescita in cui, al contrario, accadono molte cose nella scoperta continua della realtà, in un impasto di mondo infantile e mondo adulto. Questo percorso permetterà di entrare nell’adolescenza. Ana scopre la sessualità degli adulti, i comportamenti diversi di ognuno, le ambivalenze.
La bambina sembra bere con gli occhi il mondo esterno. Ne assorbe tutti gli stimoli, spesso dolorosi, ma a volte eccitanti, confusi o ambivalenti come quando si accorge di subire il fascino dell'amante del padre, malgrado la detesti con tutte le sue forze. Ana è comunque una bambina e alterna fasi di disperazione in cui urla al mondo “voglio morire”, a momenti sorprendenti di quiete e piacere nel gioco. Nel travaglio doloroso dell'elaborazione del lutto, compaiono sorprendentemente, momenti di serenità... Memorabili le scene di armonia, toccanti per la loro semplicità, con le sorelle che ballano abbracciate, si mascherano, ritagliano figure dai giornali. Complici in quello che è stato giustamente definito “il lavoro dei bambini”. Forse il gioco per loro è l'inizio della cura.
Degna di nota infine è la colonna sonora che accompagna tutto il film. È la canzone del disco che Ana continuamente ascolta usando il suo mangiadischi. Si tratta di un motivo struggente (forse di moda all'epoca), una specie di nenia che allude ad una separazione d'amore in cui echeggia un verso por,.qué te vas (perché te ne vai?). La ripetizione sembra fungere da consolazione rassicurante come quando il bambino chiede che gli venga raccontata la stessa favola nello stesso modo e con le stesse parole e dice: ancora, ancora….
Titolo Originale: Cria cuervos
Paese di Produzione: Spagna
Anno: 1976
Regia: Carlos Saura
Sceneggiatura: Carlos Saura
Fotografia: Teodoro Escamilla
Tema Principale: Porque te vas (Jeanette)
Musica: José Luis Perales, Frederic Mompou
Cast: Ana Torrent, Geraldine Chaplin, Conchi Pérez, Maite Sanchez, Mónica Randall, Florinda Chico, Josefina Díaz, Germán Cobos, Héctor Alterio, Mirta Miller
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