Cinema e Amori
Nel film
Se c'è qualcosa di profondamente contemporaneo nell’Emilia Perez di Jacques Audiard è che non offre una risposta alla domanda sulle ragioni dell’amore. Non chiedetevi i ‘perché’, ma i ‘come’ dell’amore.
Il film non ci dice ‘perché’ un individuo che da uomo fa lo spietato narco-trafficante, da donna fondi un’associazione benefica che prova a riparare agli abusi e alle ingiustizie. Piuttosto ci mostra ‘come’ questo avvenga: attraverso una transizione che sconcerta e spiazza le identità e libera la potenza esplosiva, le contraddizioni, ‘l’estetica imprevista dell’amore’. Questa estetica ha tanto a che fare con i generi cinematografici e la loro sovversione, quanto con quelli di maschile e femminile
A chi andasse a vedere questa storia aspettandosi di scoprire che tipo di operatore psichico sia una transizione sessuale, o una riassegnazione di genere, il musical rovescia semmai la prospettiva.
Non è dalle parti dell’anatomia psichica e corporea dei personaggi che bisogna guardare per trovare la pepita d’oro, ma in quelle dell'artificio del musical e nell'esagerazione del melodramma. Qualcosa che cattura con la sua bellezza sfrontata, con la sua energia vitale, con la sua capacità di transitare, appunto, generi e temi apparentemente inconciliabili.
Emilia Perez è un musical che trascende il suo genere. La sua è la leggerezza ‘differente’ di un racconto complesso che affronta traumi impossibili.
L'avvocato, Rita Mora Castro (Zoe Saldaña), è brillante e frustrata. Come associata di un noto avvocato difensore (Eduardo Aladro), deve scrivere discorsi per il tribunale che il suo capo semplicemente memorizza. Lavorare su casi che confliggono con il suo senso di giustizia. All’inizio del film, la vediamo aiutare a scagionare un uomo che crede colpevole dell'omicidio della moglie. Qui la prima transizione: la frustrazione di Rita esplode in una scena musicale ambientata in strada. Danza con lei un gruppo di passanti. La coreografia è collettiva, come collettivi e politici sono i gesti che accompagnano il testo della canzone rap: “giustizia in vendita”, lampi che si sviluppano “nella corte della tua coscienza”. Il secondo numero musicale è ambientato nell’aula di giustizia vuota, una volta che l’assassino è stato assolto. A supportare Rita c’è un team di pulizia tutto al femminile…
Ma poi arriva un'opportunità. Il boss del cartello della droga, chiamato Manitas Del Monte (Karla Sofía Gascón), ha notato il suo talento e le affida un compito insolito. La chiama promettendole immense ricchezze in un conto bancario svizzero e spiega il lavoro: deve organizzare per lui un intervento di riassegnazione di genere e la completa riorganizzazione della sua vita e della sua famiglia. La combinazione di tentazione e intimidazione di Manitas non ammette rifiuti: “Ascoltare è accettare,” le dice Rita, e lei fa entrambe le cose.
A questo punto iniziale, Rita è ritratta sia come una subordinata che trascorre il suo tempo a scrivere documenti in un ufficio angusto sia come un giocatore completamente inserito che Manitas invia in missioni in tutto il mondo con un budget “illimitato”. Per lui, controlla una clinica di Bangkok che vende con zelo ciò che Rita chiama “operazioni di cambio sesso”.
Assistiamo a una seconda transizione: sequenza musicale pirotecnica sotto le luci di una sala operatoria. (“Vagino-plastica!” “Sì!” “E penoplastica!” “Sì, sì!”). Consulta anche un medico a Tel Aviv che lancia un numero musicale quieto, accattivante che lavora il dubbio. Ci avvisa che opererà sui corpi ma “non riparerà mai l’anima”. Ma alla fine opera su Manitas. Che diventa Emilia.
Quattro anni dopo, Emilia ritrova Rita. Le mancano i suoi figli. L’amore materno e l’amore paterno si confondono. Emilia è madre, padre, donna e uomo. Ha un piano per tornare a vivere insieme a Jessi, la moglie ignara della sua nuova identità, nella sua casa di Città del Messico. Vuole l’aiuto di Rita e questa la ascolta. “Ascoltare è accettare”.
Anche qui i conflitti nella relazione sono espressi nella danza; attraversano il canto furioso della moglie di Jessi su un letto e in una discoteca sgargiante.
Emilia mantiene un piede nella sua vita precedente e con il potere della ricchezza - e la minaccia della violenza a portata di mano - fonda un’organizzazione, La Lucecita (“la piccola luce”), per cercare le vittime della violenza legata ai cartelli.
E’ impegnandosi in questo progetto che Emilia incontra una donna e se ne innamora, scoprendo all’improvviso che quella è “la prima volta” che ama.
I molteplici strati di ambiguità che comunque le restano attaccati addosso, così come la complessità delle vicende romantiche su cui Emilia costruisce la nuova vita sono, però, dislocate. In un certo senso, l’azione collettiva è sempre presente, come se con ogni canzone e danza potessero mettere in scena l’energia emotiva di tutto ciò che resta implicito. I numeri musicali spaziano dal pop al jazz, dal sentimentale al furioso, dal rap alla dance e producono una forza rivelatrice, che mantiene le cose in movimento. Un’estetica che non teme l’uso di codici linguistici eterogenei: ad esempio il numero appassionato in cui Rita balla sui tavoli raccontando i sordidi retroscena dei potenti finanziatori de La Lucecita si rifà agli stilemi degli spot pubblicitari.
Audiard gioca con la riassegnazione di genere di Emilia rivelando la complessità di un passaggio che non è binario, se non per il fatto che le sue verità giocano con la binarietà: qualcosa che per metà trasforma completamente un narcotrafficante in una figura di ‘madre del mondo’. E per l’altra metà la fa comunque rimanere interamente fedele/infedele a se stessa, spregiudicata e violenta quanto vulnerabile.
Titolo originale: Emilia Perez
Anno: 2024
Regia: Jacques Audriard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain
Musiche: Clément Ducol; Camille (canzoni)
Fotografia: Paul Guilhaume
Montaggio: Jiuliette Welfling
Cast: Karla Sofía Gascón; Zoe Saldana; Selena Gomez; Édgar Ramírez; Adriana Paz; Mark Ivanir; Eduardo Aladro
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