Cinema e guerra
L'intervista
Benedetto: benvenuto Angelo, puoi presentarti?
Angelo: Sono un attore, autore, regista e formatore teatrale. Sono nato a Messina e da tanti anni sono stato “adottato” dalla città di Milano, dove mi sono formato alla “Scuola del Piccolo Teatro”, sotto la direzione di Luca Ronconi. Milano è attualmente la mia città nella quale sono tornato a vivere da cinque anni, continuando sempre a viaggiare, come il mio mestiere mi impone. Grazie a Milano ho intrapreso un percorso nel teatro di narrazione e di ricerca che è diventato la mia cifra negli ultimi anni.
B: Che rapporto c’è tra il teatro e il cinema?
A: Sono due forme di racconto e d’espressione diverse. Il cinema parla soprattutto attraverso le immagini ed è prevalentemente territorio della visione del regista anziché dell’attore. Nel teatro, invece, il protagonista è il corpo dell’attore, il quale incontrando il pubblico crea un’esperienza unica, ogni sera diversa.
B: “Stay Hungry” è uno spettacolo teatrale ambientato a Messina ed oltre ad essere messo in scena nei vari teatri d’Italia è trasmesso anche da Rai play. Hai mai pensato di realizzarne un’opera cinematografica?
A: Mi piacerebbe, sarebbe una bella sfida, anche se richiederebbe una scrittura completamente diversa. Chissà, magari in futuro, ci penserò visto che i temi di cui tratta sembrano essere di notevole interesse.
B: Nelle dissolvenze delle inquadrature televisive sembra si possa transitare da una dimensione più concreta ed una dimensione più astratta.
Questi profughi africani sembrano a tratti concetti astratti, stereotipi: fuggono dalla guerra e vengono in Sicilia a cercare pace.
A: Si, è vero, c’è questo dialogo tra persone e personaggi. I ragazzi africani sono mossi da una spinta a compiere un viaggio ben più grande di quello che possiamo immaginare, nel senso che l’approdo in Italia per molti di loro è solo una tappa di un percorso di vita e geografico molto più ampio. In questa spinta evolutiva ad intraprendere un viaggio per trarsi in salvo, ho trovato molta vitalità, energia e voglia di riscatto. Parlo, naturalmente, in base alla mia esperienza, dove l’incontro teatrale è stato un tramite efficace per abbattere paure, stereotipi e credenze modellate sul continuo consumo di immagini che spesso raccontano (sia in cinema che in TV) la migrazione solo come evento traumatico, drammatico, portatore di instabilità e problemi. Non nascondo che le problematicità esistano, ma non può davvero essere l’unica narrazione di un fenomeno così imponente e importante. Spesso la guerra non è l’unica fonte che spinge alla fuga tante persone. Mi sembra più essenziale sottolineare la natura propulsiva del viaggio, spinto dalla voglia di salvarsi e di potere progettare un futuro migliore.
B: C’è anche una guerra con la verità. Questi personaggi sono costretti a mentire riguardo la propria età, la propria identità, la propria provenienza e sui motivi della loro fuga. Da un lato c’è una guerra reale e d’altro lato c’è una guerra fantasmatica. Quest’ultima è il frutto di nostre proiezioni e del nostro bisogno di riproporre stereotipi dei vari personaggi; però così facendo rischiamo di perderci la possibilità d’incontrare l’altro nella sua realtà personale.
A: Si, lo spettacolo gioca proprio sul ruolo che spesso siamo costretti a rivestire per rientrare nelle categorie che permettono poi di mettere in moto le varie macchine burocratiche dei finanziamenti o degli aiuti. In questo senso, ho sperimentato sul campo come il teatro sia davvero terapeutico nell’offrire narrazioni che ribaltino i luoghi comuni ed aiutino a considerare punti di vista diversi dai nostri. A volte le cose necessitano di essere narrate transitando da un livello di rappresentazione teatrale o cinematografica che sia. C’è un rapporto stretto e misterioso tra realtà e finzione, tra vita narrata e vita vissuta.
B: La guerra impone dinamiche di conflittualità e sopraffazione dei diritti umani. Sembra che la stanchezza sia un sentimento determinante nella possibilità di scegliere di intraprendere il viaggio, nella speranza di salvarsi la vita. Questi ragazzi africani cercano sostegno e solidarietà, tentando di potersi prendere cura di sé. Forse, possiamo dire che anche il viaggio analitico ha lo scopo di prendersi cura di sé e salvarsi la vita, ma in effetti bisogna essere abbastanza stanchi di stare male. Così come per fare la pace, bisogna essere stanchi di fare la guerra.
A: “Getta lo scudo, la guerra è finita” è il consiglio che mi diede molti anni fa un regista quand’ero più giovane e affrontavo la vita con più rabbia. L’esperienza che racconto in “Stay Hungry” posso dire che mi ha trasmesso molti insegnamenti in questo senso. Riscoprire il senso del contenimento delle conflittualità, dello sviluppo della solidarietà e della collaborazione, dell’importanza dei rapporti umani e delle relazioni.
B: La guerra non è solo esterna ma anche interna. Si può essere in guerra con sé stessi, con i propri sentimenti, con le proprie emozioni. Sembra fondamentale l’incontro con l’altro per nutrirsi dell’alterità e potere fare pace con sé stessi e con le proprie emozioni.
A: Il teatro, come il cinema, ha un infallibile potere curativo per ciascuno di noi, nell’offrirci la possibilità di accedere ad una narrazione diversa rispetto a quella che ci viene imposta dal clima culturale e sociale in cui viviamo. Ci consente di andare al di là degli stereotipi sociali e di estendere il campo della nostra immaginazione e del nostro pensiero. Ci consente di andare al di là rispetto a dinamiche conflittuali e di potere pensare ad una possibilità d’incontro con noi stessi e con gli altri.
Il nuovo lavoro “Tra Scilla e Cariddi” realizzato con Giulia Drogo per il “bando periferie” del Ministero della Cultura insieme al comune di Messina, racconta proprio di una guerra tra i due antichi mostri di Scilla e Cariddi che si scontrano tra le due sponde dello stretto; però poi si apre la possibilità all’incontro con l’altro e all’accoglienza delle reciproche diversità e quindi ad una possibile pacificazione.
B: la gratitudine sembra essere il sentimento decisivo nella possibilità di apprezzare il nutrimento non solo materiale, ma anche spirituale, emotivo, affettivo che si può ricevere dall’incontro con l’altro e ciò ci può portare a scegliere la pace.
A: Si, lo spettacolo si apre con una richiesta di essere nutriti di cose buone, in cui il cliente si rivolge a un ristoratore; e si conclude proprio con un sentimento di gratitudine, nel momento in cui non solo il ristoratore, ma anche tutti gli altri personaggi offrono cibo buono da mettere in tavola. Nell’improvvisazione teatrale, la tematica del conflitto e dello scontro sulla scena, viene risolto da questi ragazzi del Camerun in maniera del tutto diversa, quasi sorprendente, dimostrando che una strada verso la pace è sempre possibile. C’è la possibilità di contenere la rabbia e trasformarla in sentimenti di collaborazione e amicizia.
B: grazie mille, Angelo! Per la tua disponibilità e gli stimoli interessanti che ci proponi, offrendoci un punto di vista nuovo e diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.
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