☰  
×
eidos

Cinema e guerra

Serie Tv

Fauda

Fiction, inconscio e geopolitica

Alberto Angelini

www.albertoangelini.it

 

Gli antichi greci possedevano una dea per la storia, che custodiva le vicende di stirpi, eroi e città. Clio, una delle Muse, figlia di Zeus e Mnemosine suscitava quell’entusiasmo che permetteva agli storici di descrivere, con passione, le vittorie e le sofferenze del loro popolo. Quando la ragione civilizzatrice iniziò a voler dare un senso all’ebrezza della storia fu dimenticato, progressivamente, che un elemento della storiografia è quello di essere un prodotto estetico come la tragedia, il poema epico, l’arte del flauto e il canto.

Da un paio di secoli si crede che i tentativi di spiegare a un pubblico generalista le stratificazioni profonde e le contraddizioni su cui si fondano i paesi complessi, cioè tutti i paesi, debbano passare attraverso ampi articoli, saggi, conferenze o, nell’ultimo secolo, servizi televisivi d’informazione giornalistica. Nei fatti, però, qualunque tra questi mezzi venga impiegato, l’autore è sempre costretto a estenuanti premesse che descrivono il teatro geografico, antropologico e politico in cui si svolge la vicenda, per orientare lo spettatore.

 

 

Soprattutto quando si parla di Medio Oriente, se non si fa una premessa del genere, pochi capiscono quello di cui si parla e solo chi è veramente interessato alla questione, per studio o per lavoro, resiste fino alla fine.

L’ascesa delle serie tv, fortemente visionate durante l’epoca pandemica, ha generato l’idea nuova che si possa raccontare la geopolitica, cioè la struttura profonda di tutti i paesi che compongono il mondo, attraverso la storia di una fiction ben fatta. Questo alimentando quella che forse è solo un’illusione; ovvero il proposito di raggiungere davvero una platea un pò più ampia di quella degli specialisti.

Le serie tv sembrano un modo nuovo per raccontare faccende sociopolitiche complicatissime e risultano in grado di farci capire aspetti inusuali o lontani del mondo in cui viviamo. Ciò è reso possibile dall’enorme dilatazione del tempo narrativo offerta dalla serialità.

 

 

Le sceneggiature delle serie televisive sono piene di amori e di odi, di personaggi indimenticabili, di snodi, di figure che evocano forze superiori e colpi di scena. In una parola, sono piene di fiction. Alcune di esse, però, sono montate su un telaio che sembra estratto dai manuali di geopolitica.

Valga ricordare le centinaia di serie sulle minute pieghe della politica americana o, in Europa, quel piccolo capolavoro che fu Borgen e che, dal 2010 al 2013, fece sembrare addirittura appassionante una cosa come la politica danese.

 

 

Si va a ondate: da qualche tempo è il turno di ciò che avviene in Medio Oriente e dintorni. Un bell’esempio è la Turchia di Ethos, dove si racconta quasi tutto quello che c’è davvero da sapere sulla frattura che taglia in due la società di quel paese. Questo è fatto splendidamente, meglio che in un qualunque articolo o saggio pieno di inevitabili premesse. La storia di questa fiction descrive gli squilibri emotivi ed esistenziali di due donne. Due mondi lontanissimi: una psichiatra moderna, culturalmente occidentale e una contadina che a lei si rivolge, per chiedere aiuto, protagonista e vittima di una cultura arcaica.

Peraltro, con Ethos, il cinema turco, che non è propriamente noto per la vivacità del ritmo narrativo, in virtù della dilatazione dei tempi delle fiction, può permettersi d’indulgere qualche secondo in più su dei dettagli – quel cuscino, quella carta da parati – senza che la regia trascuri d’inserire una trama.

A fronte della grande qualità offerta da Ethos possiamo porre la travolgente esaltazione offerta da Fauda che, in arabo, significa caos.

Si tratta di una serie israeliana che racconta le vicende di un’unità delle forze speciali, operante sotto copertura, in Cisgiordania e Gaza.

Nel 2017, il New York Times ha nominato Fauda uno dei migliori programmi TV internazionali dell’anno. È senza dubbio la produzione culturale israeliana più vista negli ultimi decenni. Potrebbe anche essere l’opera creativa più popolare su Israele, dal film hollywoodiano del 1960 Exodus.

Ovviamente nasce un problema. L’argomento trattato, cioè lo scontro tra Israele e Palestina, viene elaborato solo da una delle parti coinvolte e risulta sbilanciato.

Si tratta di uno dei conflitti politici e bellici più complessi dei nostri tempi e, geopoliticamente, appare come una eredità forzata del colonialismo europeo, o meglio dell’impero britannico.

Fauda nasce da una storia vera; quella di Lior Raz, un ex agente dei servizi israeliani che decide di trarre un soggetto e una sceneggiatura dalla sua esperienza di vita. Nella serie, ambientata nei territori occupati della Palestina, egli diviene l’attore protagonista e, in virtù dei suoi concreti incarichi passati, bene interpreta la parte.

Il romanziere Graham Green affermava che i servizi segreti sono il subconscio delle nazioni. Cosa è realmente una nazione, la sua politica, la sua storia, le sue ossessioni e soprattutto il suo futuro, non si vede in superficie. È necessario scendere in profondità e osservare dove operano e soprattutto come operano, le forze sotto copertura. Se questo è vero, Fauda rappresenta, contemporaneamente, alcuni aspetti del subconscio di due nazioni.

Siamo al confine tra Israele e Cisgiordania. Il Mista’arvim, è una unità dell’esercito israeliano specializzata in operazioni sotto copertura, nei territori palestinesi. Si tratta di soldati israeliani in grado di passare per arabi. Il loro compito è l’antiterrorismo e la loro attività consiste nel progettare, condurre e portare a termine operazioni sul campo. Frequentemente, essi si occupano di realizzare l’omicidio mirato di qualche specifico terrorista che minaccia Israele. I protagonisti ne ricavano un’alternanza di vittorie e fallimenti e, spesso, un senso di frustrazione, con notevoli dosi di ansia e aggressività dovuta allo stress post traumatico. Al di sopra di tutto, vi è la sensazione condivisa con gli avversari, descritti anche nella loro umanità, di trovarsi in una situazione senza vie d’uscita.

I personaggi sono tutti intrappolati in un conflitto più grande di loro che li domina completamente. L’unità, diretta dall’inquieto protagonista Doron, interpretato come scritto da Lior Raz, compie azioni le cui conseguenze più volte ricadono, violentemente, sugli stessi personaggi che hanno agito. Doron, in particolare, è sempre più scollegato dalla gerarchia militare e umanamente alla deriva. Un’altra figura presente nella vicenda è la dottoressa Shirin, medico all’ospedale di Ramallah, che si sente divisa tra la lealtà verso la causa palestinese e il desiderio di porre fine a una lotta esasperata e sanguinaria. Sempre sul versante femminile, spicca la soldatessa Nurit, che è giunta nell’unità con grande senso del dovere, ma vede sgretolarsi i valori in cui crede, a causa delle azioni sempre più violente e inumane della sua squadra. C’è poi l’arabo Walid, forse il personaggio più bello, un diciassettenne verosimilmente privato della sua infanzia, luogotenente di un leader estremista palestinese e destinato ad assumere su di sé tutto il peso simbolico di un popolo sofferente oltre ogni misura e sempre in bilico tra umanità e distruzione.

In una più ampia prospettiva, il governo israeliano è, a sua volta, intrappolato nella ragion politica che, a volte, porta a far fallire la sua stessa squadra militare. L’Autorità palestinese è sempre più prigioniera del movimento Hamas. Quest’ultimo, a sua volta, è ostaggio della sua ala combattente, anch’essa fortemente condizionata dai fondamentalisti, non solo dell’Isis, che arrivano da tutte le nazioni limitrofe. Questi flussi estremistici provengono soprattutto dai paesi più destabilizzati, come la Siria.

La sceneggiatura di Fauda è anche una tessitura fittissima intorno alla storia di Israele. Si descrivono le nevrosi di questa nazione e s’indaga su cosa possa significare essere un ebreo israeliano nato in una famiglia che ha vissuto, per secoli, in un Paese arabo e che, quindi, parla perfettamente la lingua degli “altri”.

D’altro canto, si cerca di capire quali divisioni attraversino la politica palestinese, che cosa sia l’Olp e che cosa sia Hamas; ma anche cosa significhi appartenere ad Hamas a Gaza e che cosa invece sia l’appartenenza ad Hamas in Cisgiordania.

Nonostante l’evidente presa di posizione a favore d’Israele, gli ideatori della serie temevano di essere accusati di “umanizzare i terroristi” dalla destra israeliana e di trascurare le possibilità di dialogo, dalla sinistra.

Il mondo arabo, invece, contestava la presentazione di situazioni politicamente e umanamente differenti come fossero simmetriche; quasi a voler dire: “Guarda, ci sono persone su entrambi i lati”. Tuttavia, nel 2020, Fauda è stata la serie di Netflix più vista in Libano, la sesta in Giordania e la terza negli Emirati Arabi.

l livello di dettaglio che si richiede a un prodotto televisivo di questo tipo è quello della miniatura. Il successo, infatti, è ottenuto perché le migliori tra queste fiction, anche quando affrontano scenari molto difficili, non fanno sconti alla complessità e valutano il dettaglio più di quanto, salvo eccezioni, un film possa fare. Inoltre, le serie “mostrano” i luoghi, o almeno fanno finta, perché neanche l’onnipotente Netflix ha potuto girare nella striscia di Gaza.

L’effetto è sorprendente e utile. Dopo una full immersion nelle sparatorie e negli inseguimenti di Fauda, c’è chi vuole saperne di più, per esempio, sull’Autonomia nazionale palestinese. Così accade che qualcuno diteggi su Wikipedia cercando risposte a curiosità geopolitiche che non erano mai emerse dopo la lettura di un articolo di giornale o di un servizio in tv.

Psicologicamente la spiegazione è semplice: solo la forza delle emozioni spinge una persona a interessarsi veramente di un fatto o di un fenomeno. La cosiddetta “motivazione psicologica” è sostenuta, prima di tutto, dai sentimenti.

Per questo, sempre prestando attenzione alla ricostruzione dell’ambiente, l’ebbrezza del racconto non deve essere mai dimenticata. Così lo spettatore, inseguendo le tante piccole e potenti storie dei protagonisti, quando il contesto sia accurato e articolato, resta affascinato dalla implacabile complessità della grande Storia, che tutti ci accoglie.

 


Titolo originale: הדואפ 
Genere: Azione, drammatico
Paese: Israele
Regia: Assaf Bernstein
Cast: Lior Raz, Hisham Sulliman, Shadi Ma'ari,
Laëtitia Eïdo, Tsahi Halevi, Yuval Segal, Neta Gerti, Hanan Hillo, Tomer Kapon, Boaz Konforty, Rona-Li Shimon, Doron Ben-David
Numero di stagioni: 4
Numero di episodi: 48

 

 

Vedi tutto il numero





La redazione è a disposizione con gli aventi diritto con in quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani o delle foto riprodotti in questa rivista.