Cinema e progresso
Festival
La diciottesima edizione del RomaFilmFest, di cui è neodirettrice artistica Paola Malanga, ha dato grande spazio alle donne presentando film girati da registe, storie incentrate sulle tematiche femminili e omaggi alle grandi interpreti. Anna Magnani - attrice simbolo oltre che personalità artistica straordinaria, è stata protagonista della mostra fotografica Semplicemente Anna a lei dedicata nel 50° anniversario della sua morte.
Callas - Paris 1958 di Tom Wolf, 2023
A cento anni dalla nascita di Maria Callas, RomaFilmFest le ha reso omaggio con tre lungometraggi il cui cuore pulsante è Callas Paris 1958 (2023) del regista Tom Volf, film nato dal restauro delle immagini del concerto tenutosi all’Opéra di Parigi. Il film mette in scena “la divina” Maria Callas che canta arie divenute leggendarie come Casta Diva (dalla Norma, opera lirica di Vincenzo Bellini) o vibra di sdegno nei panni di Tosca (dalla Tosca, opera lirica di Giacomo Puccini), mentre accoltella l’uomo che vuole abusare di lei e che ha condannato a morte il suo innamorato, unendo lo smisurato talento canoro ad una intensità interpretativa fuori dall’ordinario.
La violenza di genere è tra le tematiche femminili quella più sentita in questa edizione 2023 del RomaFilmFest; non a caso C’è ancora domani il primo lungometraggio di Paola Cortellesi ha aperto il Concorso Progressive Cinema riscuotendo grande consenso di pubblico e di critica. Al film sono stati assegnati tre premi: il Premio del Pubblico, il Premio della Giuria e la Menzione Speciale Miglior Opera Prima. Dal momento che in questo numero è presente la recensione di C’è ancora domani, non mi dilungherò su questo bel film in bianco e nero che allude alle atmosfere del cinema italiano degli anni Cinquanta e alle luci e alle ombre dell’oggi. Paola Cortellesi, regista e interprete principale del film insieme a Valerio Mastandrea, mette in scena la “danza” drammatica che si svolge tra Delia e Ivano, il marito violento, stemperando con ironia e guizzi geniali una dinamica purtroppo conosciuta.
Un altro tema raccontato con sfumature e generi differenti in questa edizione del RomaFilmFest riguarda le vicissitudini del ruolo materno e la relazione madre figlio nella filmografia internazionale.
Pedágio di Carolina Markowicz, 2023.
Pedágio della regista brasiliana Carolina Markowicz - premio Progressive Cinema miglior lungometraggio in concorso - racconta la storia di una madre che non riesce ad accettare la diversità del figlio. Suellen (Maeve Jinkings), addetta al pagamento del pedaggio in un casello autostradale, cerca inutilmente di dissuadere il figlio diciassettenne a filmarsi e postare sul web i video in cui canta indossando frivoli maglioni rosa inequivocabilmente femminili. Armata di furore materno, Suellen vorrebbe iscrivere il figlio ad un seminario di riconversione sessuale; Tiquinho, il figlio, si oppone ma alla fine accetta per amore della madre di partecipare agli strampalati incontri condotti da un sedicente guru. La situazione si complica quando Suellen, per pagare il costoso seminario decide di nascondere la refurtiva che il suo amante si procura rubando.
Pedágio di Carolina Markowicz, 2023.
La regista e sceneggiatrice Carolina Markowicz, vincitrice nel 2018 della Queer Palm al Festival di Cannes grazie al cortometraggio The Orphan, costruisce con Pedágio un affresco drammatico e allo stesso tempo umoristico di adulti che “predicano bene e razzolano male”. Suellen, quando scopre che l’amante è un ladro lo caccia di casa ma, in un secondo momento, comincia ad apprezzare la refurtiva di valore divenendone complice. L’amante ladro ama Suellen ma è pronto a scaricarla nel momento del pericolo. L’amica e collega che ha consigliato a Suellen il seminario predica le virtù coniugali ma non resiste ad appartarsi durante il lavoro con un amante occasionale. La cittadina di Cubatão con l’aria inquinata e la vocazione ambientalista è lo sfondo brumoso di una storia di adulti contraddittori. La “diversità” di Tiquinho interpretato dal bravissimo Kauan Alvarenga, finirà per trionfare dimostrando la coerenza della gioventù nelle scelte di vita e nell’affettività.
Il film To Laslie dell’inglese Michael Morris, produttore e regista di cinema teatro e televisione, mette in scena in una cittadina del Texas che ricorda le ambientazioni di Hopper la storia di una donna alcolista malata di solitudine: Laslie (Andrea Riseborough) ha sperperato la vincita di 190.000 dollari e distrutto il rapporto con il figlio abbandonandolo da un’amica. L’incipit del film mostra la protagonista ebbra di gioia nel momento della vincita; il figlio accanto a lei ha l’espressione smarrita. Sei anni dopo il “colpo di fortuna” Laslie viene cacciata dall’ennesimo squallido motel senza soldi e con tutto il suo mondo in una valigia; decide così di tornare nella città di origine, ospite prima di una coppia di amici poi del figlio che è riuscita a rintracciare. In cambio dell’ospitalità il figlio chiede alla madre di non bere; Laslie promette invano, si ubriaca e il figlio (Owen Teague) la butta fuori di casa. Quando ormai la vita di Laslie sembra finita, le viene offerta ospitalità da parte di un uomo (Marc Maron) che gestisce un motel; in cambio dovrà pulire le stanze degli ospiti cercando di evitare le scorribande notturne che la portano da un bar all’altro in cerca di compagnia e dell’alcool.
To Laslie come recita la motivazione del premio assegnatogli, The Hollywood Reporter Roma, affronta un dilemma del nostro tempo: “Se a cambiare il destino, a partire dalle periferie del mondo e in un’epoca così povera di futuro, siano la conoscenza l’ostinazione e la fatica o la fortuna”. In effetti Laslie si ostina a farsi male e provocare negli altri il rifiuto. Il personaggio cambia quando la consapevolezza permette a Leslie di mettere a frutto l’ostinazione bloccando la ripetizione dei comportamenti distruttivi. Andrea Riseborough conferisce al personaggio di Laslie l’intensità dolorosa di una donna calpestata eppure caparbiamente attaccata alla vita grazie anche all’esistenza del figlio.
Come ultimo film sul ruolo materno vorrei citare Misericordia di Emma Dante, “una delle personalità teatrali più importanti del nuovo millennio”, regista attrice drammaturga e scrittrice. Il film è stato presentato in anteprima a RomaFilmFest accompagnato da Paso Doble, dialogo di Emma Dante e Elena Stancanelli, cosceneggiatrice di Misericordia e scrittrice, su “immaginario e vita tra palcoscenico e grande schermo”. L’amore materno per il figlio adottivo è il cuore di Misericordia.
Nuccia (Tiziana Cuticchio), Betta (Simona Malato) e Anna (Milena Catalano), l’ultima arrivata, per campare fanno le prostitute in un posto degradato tra montagne e mare dove sono gli uomini a dettare la legge. Il loro figlio si chiama Arturo (Simone Zambelli), come la stella del firmamento, ed è picciutteddu nonostante l’età adolescenziale perché, dice Emma Dante, questo personaggio “è un ibrido della narrazione né maschio né femmina né bambino né adulto, un idiota che non sa parlare”. Il padre di Arturo si chiama Polifemo (Fabrizio Ferracane) come il mostruoso ciclope della mitologia greca; sfrutta le donne e vuole uccidere Arturo. Lo vediamo nell’incipit del film mentre colpisce a morte la sua donna colpevole di voler fuggire lontano con il loro figlio. Il neonato Arturo resta in un incavo della roccia con una pecora per consolarlo mentre la montagna frana a valle e il mare misericordioso accoglie sul fondo il corpo di sua madre.
Il cinema di Emma Dante colpisce e commuove. Il mondo femminile che mette in scena parla attraverso i corpi: corpi nudi sfioriti o splendenti di giovinezza, corpi forti da violare che si accapigliano s’inceppano danzano corrono, corpi di bambine che giocano con Arturo, lo accudiscono con amore e si capisce che sono già “madri”. Il femminile di Emma Dante è viscerale tenero e crudele allo stesso tempo, abnorme. E l’amore di queste femmine, diretto esclusivamente verso i figli, non conosce l’ambivalenza. Nuccia Betta e Anna nonostante la durezza delle loro esistenze sono dolci come tre fatine la cui unica magia è proteggere Arturo dal padre e forse donargli una vita migliore.
Together with Lorenza Mazzetti di Brighid Lowe, 2023.
A chiusura di questa breve carrellata di film, non è possibile dimenticare Together with Lorenza Mazzetti. Con questo titolo che ricorda Together, il primo lungometraggio di Lorenza Mazzetti premiato a Cannes nel 1956 con il Palmarès per la Mention au film de recherce, la regista britannica Brighid Lowe compone grazie ad interviste, spezzoni di film e alla presenza di Paola – sorella gemella di Lorenza- il ritratto affettivo di un genio fuori dagli schemi la cui perdita ha segnato il mondo culturale internazionale.
Lorenza Mazzetti diede vita in quello stesso anno, 1956, al Free Cinema Movement con altri tre giovani registi: Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson. Together ne era il manifesto rivoluzionario e allo stesso tempo lirico grazie alla storia di due portuali sordomuti del East End londinese segnato dal fervore della ricostruzione dopo la distruzione della guerra e dal “cinguettio” di bambini sciamanti tra i docks. Together with Lorenza Mazzetti restituisce il senso profondo della creatività di questa artista segnata per sempre dallo sterminio durante la Seconda guerra mondiale della famiglia di Robert Einstein di cui le gemelle Mazzetti erano parte integrante.
Together with Lorenza Mazzetti di Brighid Lowe, 2023.
Misericordia di Emma Dante, 2023.
Questa strage è visibile in controluce in tutta la produzione artistica di Lorenza Mazzetti, un’artista transitata spericolatamente dalla regia alla scrittura alla pittura e alla realizzazione della seguitissima rubrica del settimanale comunista “Vie nuove” Chi dice donna, in seguito chiamata. Il lato oscuro perché aperta all’interpretazione dei sogni grazie anche alla consulenza dell’analista junghiano Vincenzo Loriga.
RomaFilmFest ha reso omaggio a Lorenza Mazzetti riproponendo presso La casa del cinema di Roma le versioni restaurate di Together e K (Metamorphosis) e l’inatteso The Country Doctor primo cortometraggio di Lorenza Mazzetti.
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