Cinema e Amori
Nel film
I Giri dell’Amore avrebbe dovuto chiamarsi questo film che è proprio di un tour di due amanti che parla. O meglio, di un amore in fuga e di un altro che insegue. E contemporaneamente avrebbe potuto intitolarsi I Giri alla scoperta dei possibili Sè. Che poi è un po’ quello che succede, nelle relazioni d’amore. Non è infatti solo il rapporto con l’oggetto, ma anche una scoperta intrapsichica. Un percorso, un viaggio a tappe. Gli incontri con l’Altro, nelle sue innumerevoli differenze. Ma anche l’immersione in tutte gli infiniti scenari di fronte ai quali possiamo trovarci, nel cammino esistenziale. I paesaggi mutevoli, dolci e aspri. Confortevoli e pericolosi. Sfidanti e accoglienti.
Nella Birmania del 1917, Edward, nel recarsi verso l’appuntamento con Molly per ufficializzare il matrimonio, fugge per luoghi senza meta, col chiaro intento di non lasciare traccia. Dal canto suo, Molly, che non prende minimamente in considerazione l’idea di lasciare al suo destino il futuro sposo, riesce a seguirne le tracce, annunciando i suoi arrivi con dei telegrammi amorevoli. Nel fuggire, Edward si deprime, e riconosce, in quello che diviene un gran tour asiatico, quanto abbia in realtà bisogno che Molly lo insegua.
Nel buio della sala cinematografica, Grand Tour si presenta non come un semplice viaggio fisico, ma come un itinerario interiore, un’esplorazione psicologica dell’inconscio mascherata da un road movie. La pellicola ruota intorno a un protagonista (o ai protagonisti, a seconda dell’interpretazione) che, sin dall’inizio, appare mosso da un’irrequietezza intangibile, una sorta di desiderio lacaniano: un vuoto che non può essere colmato, una pulsione a muoversi verso ciò che non si può mai veramente ottenere.
Anche chi apparentemente è in fuga dal desiderio dell’Altro da Sè, in realtà scappa dal proprio stesso desiderio. Che può essere vissuto in termini claustrofobici in quanto rappresentativi di aspetti che incastrano, perché visti, scoperti, nel rapporto a due.
Già dalla scena iniziale il film ci immerge in un mondo ordinario ma intriso di simboli. il protagonista si trova intrappolato in una routine sterile, una prigione del ‘principio di realtà’. È la chiamata del viaggio, dell’ignoto, che risveglia in lui l’energia della pulsione di vita (Eros), spingendolo verso una liberazione dalla monotonia e verso l’esplorazione del proprio Es.
Ogni tappa del viaggio sembra assumere i contorni di un sogno, o meglio, di una serie di quadri onirici che Freud non avrebbe esitato a definire come manifestazioni dell’inconscio. Luoghi apparentemente casuali, città, campagne, mari e deserti, diventano lo specchio di conflitti interiori. Un villaggio in rovina evoca il trauma del passato, una città caotica rappresenta il conflitto con il Super-io, una spiaggia deserta richiama la ricerca del Sé autentico.
Il simbolismo degli incontri è altrettanto pregnante. Ogni personaggio secondario che il protagonista incontra sul suo cammino sembra incarnare un frammento del sé. Gli incontri, benché effimeri, non sono mai privi di un residuo emotivo. Sono come sogni che riaffiorano alla memoria durante una seduta di analisi, lasciando dietro di sé una scia di interrogativi irrisolti.
La narrazione non è lineare, e questo stesso aspetto richiama il funzionamento della psiche. I flashback, le ellissi temporali e i momenti di apparente stasi si intrecciano come associazioni libere in una seduta psicoanalitica, dove l’inconscio guida l’esplorazione. L’assenza di una meta chiara nel viaggio del protagonista suggerisce che il vero obiettivo non è mai stato esterno, ma interno: la necessità di confrontarsi con i propri desideri repressi, le paure ancestrali e i rimpianti mai elaborati.
In una sequenza volutamente ambigua e surreale, il protagonista sembra raggiungere un luogo ‘finale’, una sorta di Eden che però si rivela illusorio. È il momento in cui l’Io è costretto a fare i conti con la realtà. Il viaggio non può risolvere la frattura interna. Tuttavia, come spesso avviene nel processo terapeutico, la consapevolezza dell’incompiutezza diventa di per sé un atto trasformativo. Non vi è un punto di arrivo definito, ma la possibilità di continuare a muoversi, di affrontare, un passo alla volta, i propri demoni interiori.
Grand Tour, col suo linguaggio visivo e narrativo, con l’alternarsi del bianco e nero col colore, con le sue sospensioni spazio-temporali, richiama l’esperienza analitica, portando lo spettatore a interrogarsi sul proprio inconscio, sui propri desideri inespressi e sulle tappe non concluse del proprio percorso esistenziale. Nello stesso tempo, lo porta a interrogarsi sulla natura stessa dell’amore. Da un punto di vista relazionale e intrapsichico. Ma anche con le sue ambivalenze, le difficoltà, la natura ondivaga delle emozioni e dei sentimenti.
È un film che parla di amore, non solo quello a due, ma anche quello verso la scoperta. Dei territori sconosciuti, delle lande deserte, dei paesaggi affollati, della straordinarietà della mente umana.
Titolo originale: Grand Tour
Anno: 2024
Regia: Miguel Gomes
Sceneggiatura: Mariana Ricardo, Telmo Churro, Maureen Fazendeiro, Miguel Gomes
Fotografia: Rui Poças, Sayomphu Mukdiphrom, Gui Liang
Montaggio: Telmo Churro, Pedro Filipe Marques
Cast: Gonçalo Waddington, Crista Alfaiate, Cláudio da Silva,Lang Khê Tran, Jorge Andrade, João Pedro Vaz, Kazuo Kon, João Pedro Bénard, Teresa Madruga, Joana Bárcia
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