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Cinema e donne

Serie Tv

Griselda

Donne e narcocultura senza libertà né redenzione

Adelia Lucattini

Doug Miro, Carlos Bernard ed Eric Newman cosceneggiatori, registi e showrunner, il trio creativo e ben consolidato che nel 2015 ha dato vita alla serie tv Narcos, nel 2024 si è ripetuto scrivendo e girando la serie Tv Griselda. Nelle due serie Tv, gli sceneggiati raccontano le vicende di due noti narcotrafficanti colombiani coevi, Pablo Escobar e Griselda Blanco. Da sottolineare subito alcune importanti differenze: le scelte di casting e l’accuratezza della ricostruzione storica e la trama piuttosto diversa nei due teleromanzi. Narcos è una narrazione cinematografica impreziosita dalla ricercatezza delle ambientazioni tipiche dei docufilm, pur essendo una fiction vera e propria, in cui è descritta l’ascesa e la caduta del crimine organizzato in Colombia, legato al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. La serie Narcos è raccontata attraverso i due vertici di osservazione: da  un lato osserviamo la versione dello spietato narcotrafficante Pablo Escobar e dall’altro degli agenti della neocostituita DEA (Drug Enforcement Administration) statunitense che gli danno la caccia per anni, con ogni mezzo, nel tentativo di smantellare la rete dei suoi fedelissimi e degli affiliati all’estero. Secondo le dichiarazioni degli autori, la serie è stata pensata per un pubblico soprattutto maschile, di età tra 25 e 34 anni, attratti dalle serie crime e interessati al tema del narcotraffico.

Griselda invece, è espressamente una biografia romanzata, un memoir, a metà tra realtà e finzione, con una finalità narrativa più coinvolgente che realistica, e con un’importante rivisitazione degli aspetti biografici della protagonista Griselda Blanco Restrepo.

 

Sofia Vergara interpreta magistralmente il ruolo di Griselda, la narcotrafficante nota anche come “la madrina” e la “regina della droga”. Storicamente, la Blanco è stata in grado di creare uno dei cartelli della cocaina più pericolosi della storia del crimine organizzato legato al narcotraffico. A fianco di Sofia Vergara, vediamo la superstar colombiana Karol G che interpreta uno dei corrieri della droga, dal legame tanto stretto quanto perverso con Griselda.

La Blanco è rappresentata come una sorta di “pioniera” dell’industria internazionale del traffico di droga. Negli anni Settanta, insieme al secondo marito Alberto Bravo (Alberto Ammann), vivevano a New York City, dove contrabbandavano droga proveniente dalla Colombia. A loro si attribuiscono l’espansione negli Stati Uniti del traffico di droga dalla Colombia, centinaia di sparatorie a Miami e un ruolo diretto in centinaia di omicidi. La serie Tv segue il modo in cui Griselda Blanco raggiunge la vetta della cupola mafiosa, divenendo la potente “madrina” della droga, infine la sua caduta e l’inevitabile percorso verso la cattura. Nella fiction è ben rappresentata la traiettoria disegnata dalle sue insicurezze, la dipendenza dalla droga e dal potere che la porteranno a scontare vent’anni di pena detentiva in carcere.

La serie TV inizia con una citazione di Pablo Escobar che afferma: “L’unico uomo che abbia mai temuto era una donna di nome Griselda Blanco”. Vediamo subito Griselda e i suoi tre figli in fuga da Medellin verso gli Stati Uniti, dopo l’omicidio del marito Alberto che l’aveva umiliata vendendola come oggetto sessuale al proprio fratello, come merce, per saldare un debito di droga. Benché la vera Blanco sia sopravvissuta da bambina alle violenze sessuale da parte del suo patrigno e alla violenza contro le donne nel corso di tutta la sua vita, l’inizio della sua storia nella fiction è immediatamente scioccante per il pubblico e immette con violenza nel degrado dell’ambiente del narcotraffico.

L’inizio della miniserie, incentrato su una donna che subisce una violenza atroce, lasciando intendere che sia vulnerabile in quanto donna, può creare un fraintendimento, pericolosamente confusivo, rispetto alla storia e alla personalità della Griselda Blanco storica. Fraintendimento che non sottolinea a sufficienza nel personaggio finzionale, la personalità sociopatica e la crudeltà ferale che impregnerà tutta la narrazione successiva.

 

Griselda e i suoi figli arrivati a Miami sono accolti da Carmen (Vanessa Ferlito), una sua cara amica, che si offre di ospitarli finché Griselda non sia economicamente indipendente. Carmen che si era riscattata dalla riduzione in schiavitù, come prostituta a Medellin, le offre un lavoro presso la propria agenzia di viaggi poiché crede che Griselda sia alla ricerca di riscatto rispetto alla medesima sorte, a cui erano state destinate poco meno che adolescenti.

Griselda ha in realtà tutt’altri piani, segretamente ha portato un chilogrammo di cocaina negli Stati Uniti e sta cercando di venderla. Ben presto si rende conto che nessuno vuole comprare da lei e che non viene presa in considerazione in quanto donna e con un passato per cui la narcocultura non prevede né libertà né redenzione. La rabbia, l’odio per gli uomini che vive come abusatori e violenti, accende in Griselda un torvo desiderio di rivalsa che la induce a mettersi in competizione col cartello di Miami, usa il marchio d’infamia che la segna per giustificare la violenza e la crudeltà che mette in atto per creare il proprio cartello, uccidendo con orrida lucidità un neonato e la sua giovane madre. Giungerà a prendere il controllo dell’intera città e arriverà ad uccidere il marito Dario Sepùlveda, interpretato magistralmente da Alberto Guerra. L’attore cubano interpreta la guardia del corpo di Griselda che diviene il suo terzo marito, sospinto dal desiderio di emancipazione dalla vita criminale, per se stesso e per la moglie. Killer dei narcos fin da bambino, era nato in povertà e nella miseria più disperante, personaggio capace di cogliere i moti dell’animo di chi lo circonda, innamorato di Griselda di cui riconosce le fragilità e per questo la sostiene e protegge, senza però mai intercettarne il disturbo paranoide e il delirio di onnipotenza, che la porterà a comandare anche dal carcere in cui è rinchiusa, ordinando di ucciderlo e di rapire il bambino avuto da lui.  Blanco non può sopportare che Dario si sia svincolato dalla narcocultura e sia tornato a vivere dalla madre, nella campagna colombiana dov’era nato. Griselda non può tollerare che Dario abbia deciso contro il suo parere e trasgredendo alla regola per cui dai narcos “si esce solo con la morte”. Inoltre, le è intollerabile pensare che Dario abbia sottratto il loro bambino al destino disegnato per lui dalla madre e dalla tradizione “narca” colombiana degli anni Settanta.

 

 

La narrazione, oltre che alle vicende legate al narcotraffico, è fortemente incentrata sui temi della maternità forzata e della violenza sulle donne, per alcune delle quali l’unica strada per scampare la morte e talvolta per sperare in un riscatto personale, passa solo attraverso l’illegalità portata all’estremo, al “farsi come uomini” e malfattori. Sono figure femminili che ignorano i diritti delle donne, che non hanno cognizione del femminismo, interiorizzato a livello personale, familiare e collettivo anche in altre culture limitrofe alle loro.

Gli sceneggiatori descrivono Griselda Blanco come una “donna e boss”, cinica ma desiderosa di successo e rivincita per se stessa e per i suoi figli. Soltanto con lo svolgersi del racconto emerge la crudeltà e psicopatia che, con l’uso di cocaina e crack, la porterà ad una follia paranoica, e pluriomicida. Nella Serie Tv, per le donne non vi è emancipazione dalla miseria né elaborazione degli abusi infantili, non vi è alcuna speranza di guarigione dalle ferite dell’anima e dai traumi psichici. Griselda appare impregnata nel profondo da un maschilismo brutale e annichilente, identificata con i suoi abusatori e persecutori. Da bambina vittima innocente, ne diviene l’inconsapevole portabandiera. Accecata dalla sete di vendetta, incistata nella sua mente come un nucleo sordo, si estrania dalla realtà. Sola e delirante, proietta nel mondo la crudeltà che la circonda con macabra violenza, “narca” cruda e rapace, assassina senza anima né coscienza.

 

Vi sono alcuni limiti nella sceneggiatura, in una serie con una fotografia curatissima e con interpretazioni eccellenti, dai personaggi secondari fino alle comparse.

In una scena centrale dell’ascesa di Griselda Blanco come signora della droga, crudele e paranoica, vediamo sulla melodia del boogaloo (un genere di musica latina e di danza popolare negli Stati Uniti dagli anni Sessanta in poi) di Ralph Robles Come and Get It: una dozzina di giovani e attraenti donne attraversano impettite le strisce pedonali dal cancello di arrivo Avianca dell’aeroporto internazionale di Miami verso un furgone Sprinter che le attende. Il riferimento ad Abbey Road ma fine anni Settanta, è calzante e mostra uno stuolo di donne (corrieri della droga) cariche di aspettative, piene di illusioni, seduttive ma goffe, eccessive e volgari.

A partire da questa scena, la serie ha tentato di ritrarre Griselda come una donna che ha provato a dare uno scopo di vita alle donne perdenti e derelitte, senza famiglia, né cultura né possibilità di redenzione, senza passato né futuro, merce, cose, ancorate ad un incerto presente, l’unico che riescono a pensare e vivere. Le strappa alla prostituzione ma le getta freddamente nella trappola della cocaina, da cui tutte in pochi anni diverranno dipendenti e fuori controllo. Sorte che attanaglierà anche Griselda e i suoi figli che, in stato costante d’intossicazione, diverranno paranoici e crudeli.

Anche il tentativo di inserire nella serie una sorta di posticcio femminismo, dimostra esattamente il contrario. Dalla violenza e dagli abusi non c’è riscatto in una società dominata dalla narcocultura, dove le donne sono oggetti, scarti senza valore, senza diritti e a cui è tolta ogni dignità. Per Griselda non c’è emancipazione poiché da bambina e adolescente abusata, deprivata, violentata, venduta, riuscirà a sentirsi forte soltanto identificandosi con gli aggressori, diventando come loro, più spietata e senz’anima, sociopatica ancora più di loro, se possibile. 

Blanco è descritta dalle cronache dell’epoca, come una donna spietata e paranoica, in gran parte responsabile degli anni sanguinosi di violenza a Miami tra il 1970 e l’inizio degli anni Ottanta durante l’era dei Cocaine Cowboys. Nella versione romanzata realizzata da Netflix, Griselda è rappresentata come una donna imprenditrice che cerca di emergere nel settore del traffico di droga dominato dagli uomini, il che la rende ancora più intraprendente nel far rispettare la sua autorità. Equiparando il traffico di droga a qualunque altra attività imprenditoriale, messaggio pericoloso soprattutto per un pubblico giovane.

La violenza di Alberto avrebbe potuto essere interessante se non fosse che gli sceneggiatori tagliano subito il personaggio sminuendone il ruolo, per l’altro interpretato da Alberto Ammann, attore di talento e con grandi capacità interpretative. Nel tentativo di costruire una motivazione plausibile di come una donna “moglie e madre” possa diventare un boss mafioso, erotizza continuamente la protagonista. L’impressione è che gli showrunner mantengano, in entrambi, i vertici di osservazione senza mai prendere posizione: Griselda deve essere disgustosamente violenta e allo stesso tempo costantemente vulnerabile alla violenza sessuale.

Inoltre, si riscontra un’eccessiva riluttanza nel mettere in luce che Blanco fosse aggressiva a causa della povertà e degli abusi sessuali subiti fin dall’infanzia, e che, abbandonata e sola, è sopravvissuta prostituendosi. Gli autori, invece, insistono sul fatto che fosse violenta soltanto perché desiderosa di dimostrare il suo “valore” ai narcotrafficanti uomini. A causa di questa confusione narrativa, Griselda appare come un personaggio senza capacità di pensiero, come una donna criminale che agisce solo per imitazione di Pablo Escobar.

Sofia Vergara offre comunque una bella interpretazione, nonostante l’enfasi sulla sessualizzazione del personaggio che interpreta. Inoltre, la costante minaccia di violenza sessuale, insieme all’idea che i baroni della droga la vedano come un avversario debole, è utilizzato per giustificare la violenza di Griselda anche contro i propri figli. Essere o sentirsi in pericolo nel mondo del narcotraffico, non rende di per se una vittima, né può giustificare centinaia di omicidi.

Il pubblico si aspetta che i narcotrafficanti che vivono nell’illegalità dorata e che commettono crimini violenti, dovrebbero essere rappresentati nella finzione (fiction) come responsabili delle proprie azioni, frutto di scelte devianti. Se queste derivano da storie personali profondamente traumatiche e affondano le loro radici nell’inconscio, andrebbero indagate e maggiormente esplicitate da autori, sceneggiatori, registi e showrunner.

Dove nel racconto finzionale è negata ai personaggi empatia e la capacità di pensare, nello spettatore non vi possono essere comprensione, solidarietà, speranza di emancipazione per i protagonisti stessi, ma solo un’identificazione tout court, particolarmente dannosa se si tratta della narcocultura. Ogni narrazione per trasmettere contenuti interessanti e positivi, per svolgere un ruolo educativo, non può esaltare il Male e la ricchezza ad ogni costo, ma essere ricca di contenuti veicolo di significati e portatori di senso. E infine, che il crimine sia punito dalla legge espressione della società civile, lasciando spazio alla redenzione come possibile via d’uscita e come frutto di una libera scelta.

 

 

Titolo originale: Griselda

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2024

Regia: Andrés Baiz, Eric Newman

Soggetto: Ingrid Escajeda, Dour Miro

Fotografia: Armando Salas

Musiche: Carlos Rafael Rivera

Cast: Sofía Vergara, Alberto Guerra, Martin Rodriguez, José Zúñiga, Vanessa Ferlito, Christian Tappan, Alberto Ammann, Aurora Cossio, Carolina Giraldo (in arte Karol G)

 

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