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Cinema e progresso

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Il Workshop Cinema e Sogni

Domenico Arturo Nesci

Nell’estate del 2000, mentre insegnavo Psichiatria in un corso estivo alla University of California Los Angeles, ho condotto il primo esperimento di quello che avrei chiamato Workshop cinema e sogni e che avrei poi presentato al Forum Sanità Futura del Ministero della Salute come strumento innovativo per la formazione continua degli operatori sanitari.

Il workshop si svolge in due tempi. Un gruppo di operatori sanitari si riunisce, la sera, per vedere insieme un film su una vicenda di salute o di malattia. La mattina successiva i partecipanti si ritrovano per condividere i sogni della notte, costruendo una catena associativa con vignette cliniche reali e scene del film che tornano in mente in modo spontaneo ascoltando gli altri. Qual è il razionale del workshop cinema e sogni? Perché mai dovrebbe riuscire a rigenerare la creatività degli operatori sanitari?

 

Il sogno per Freud (1899) era il custode del sonno ed è nel sonno che avviene la sintesi proteica e ci rigeneriamo, biologicamente oltre che psicologicamente, lasciandoci andare ad un pensiero associativo ed immaginativo, dialogando con noi stessi e col mondo con un altro linguaggio: il linguaggio onirico. “La notte porta consiglio” è un proverbio antico... Significa che la soluzione ai problemi difficili non si trova di giorno, razionalmente, ma di notte, dormendo, riposandosi, sognando. E questo è ancora più vero quando il problema è emotivo: come aiutare pazienti e familiari ad accettare la malattia senza andare in pezzi e senza mandare tutto in frantumi, in preda alla rabbia ed all’angoscia? Cosa dire a quei genitori che sembrano non riuscire ad accettare la prognosi infausta del loro bambino, ma che dovranno comunque stargli vicino fino all’ultimo? Per questi interrogativi non ci sono risposte a tavolino... Dobbiamo necessariamente riattivare il nostro pensiero associativo, quello che Freud ha messo a fondamento del metodo psicoanalitico promuovendo le libere associazioni e l’attenzione liberamente fluttuante. Dobbiamo sperare che ci venga in mente qualcosa di creativo (un sogno, nella notte, o la scena di un film, nel sogno ad occhi aperti della veglia) che possa raggiungere (in modo verbale o non verbale) l’inconscio dei nostri pazienti. Dobbiamo aiutarli a riattivare la loro funzione associativa della mente per recuperare il loro tesoro perduto, la loro creatività.

Narra Paulo Coelho un’antica storia che riprenderò cambiando i nomi dei protagonisti: nel ghetto di Cracovia il rabbino Giuseppe, figlio di Abramo, sogna un tesoro sepolto sotto un albero vicino al ponte di Praga. Il sogno della notte è così vivido che Giuseppe non resiste e decide di partire. Arrivato a Praga scopre con stupore che vicino al ponte c’è proprio l’albero del sogno. Subito si mette a scavare senza accorgersi che attira l’attenzione delle guardie che lo arrestano e lo fanno interrogare dal loro capitano. Giuseppe tace la sua identità ma racconta il sogno. Il comandante delle guardie ride a crepapelle e lo lascia andare raccontandogli, a sua volta, un sogno… “Ho sognato che un certo rabbino Giuseppe, figlio di Abramo, abitava a Cracovia ed aveva, in una cantina abbandonata, una vecchia stufa, e là dentro una pentola piena di monete d’oro. Ma io certo non sono così stupido come te da mettermi in viaggio!” La storia si conclude con Giuseppe che torna a casa e ritrova il tesoro perduto della sua famiglia, che era proprio in cantina, a casa sua. I Partecipanti al workshop cinema e sogni fanno lo stesso percorso, ripetono il viaggio di Giuseppe per incontrare, attraverso la proiezione del film, il sogno dell’altro e riscoprire, grazie ad esso, il proprio tesoro nascosto.

Nell’ultima edizione, per le “Risonanze” della Festa del Cinema di Roma del 2023, in collaborazione con la Fondazione Cinema per Roma, abbiamo proiettato il film La forza della mente diretto da Mike Nichols nel 2001. La sera del 21 ottobre il film è stato introdotto dallo psicoanalista Alberto Angelini (Direttore di Eidos) e dal filosofo Paolo Vinci. L’evento è visibile sul sito di FCP, gratuitamente: https://formazionecontinuainpsicologia.it/corso/la-forza-della-mente-cinema-e-sogni-2023/ . Per i Lettori di Eidos, ne darò qui una breve sintesi riportando la trama del film ed i sogni e gli interventi più significativi.

Wit (la forza della mente)

Vivian, docente universitaria di poesia metafisica e studiosa dei sonetti di John Donne (1609) è totalmente impegnata nella sua ricerca, al punto da non aver dedicato alcun tempo a costruire una sua famiglia ed aver perso addirittura la capacità di provare empatia per i suoi studenti. L’amore per le parole scritte le veniva dal padre… Una scena della sua infanzia ci mostra il suo dialogo col papà su un libro in cui è raffigurata la storia di un coniglietto… Un altro flash back ci rivela la sua profonda identificazione con la professoressa Ashford, intransigente mentore-insegnante che l’ha seguita nella sua tesi di laurea sul sonetto Morte, non essere orgogliosa, in cui John Donne immaginava di sconfiggere la morte, proprio come i medici… Un altro professore intransigente, questa volta un medico, le rivela freddamente la sua diagnosi di cancro ovarico metastatizzato e la arruola in un protocollo terapeutico durissimo per sperimentare un nuovo farmaco. Vivian accetta di portare fino in fondo la cura, a piene dosi, anche se pesantissima… Verso la fine viene a trovarla in ospedale la sua vecchia mentore, ormai nonna, e la trova disperata. Le racconta allora la storia di un coniglietto, proprio quella che avevamo visto nella scena di Vivian bambina col papà. Vivian si rasserena… Un’infermiera molto empatica, Susie, si prende cura di lei, le spalma una crema sulle mani con le sue mani, le offre un ghiacciolo, e raccoglie la sua ultima volontà: non essere rianimata quando il suo cuore si fermerà, anche se questo la escluderà dal protocollo di ricerca. Vivian non ha più bisogno di essere la prima della classe… Vivian perde conoscenza e arriva la squadra di soccorso, raffigurata come un gruppo di guerrieri... L’infermiera li ferma… Loro si allontanano… e il film finisce.

 

Sogni e interventi…

Comincerò dal primo sogno, che ovviamente ha sempre un rilievo particolare, come l’incipit di un libro…

“Mia sorella è morta per un tumore… se non avessi sognato avrei raccontato oggi il sogno di mia madre la settimana prima della sua morte… Nel mio sogno mi accompagnavano al lavoro… vedo la mia borsa su un marciapiede e questo mi preoccupa molto…  Giunto al lavoro non entro perché devo recuperare la borsa, che riesco a vedere… ma che poi non vedo più, finché riesco a prenderla… Arrivo al lavoro, salgo le scale ma non trova la mia postazione di lavoro… chiedo aiuto a tutti, ma nessuno sa indicarmela… Continuo a salire e scendere le scale...”

Il workshop si apre con il tema dello spaesamento: la borsa (il “bagaglio” culturale del sognatore) resta fuori dall’Oncologia e, se entra, è la sua postazione di lavoro (psicologica) che scompare… Il secondo sogno riprende associativamente il tema:

“La mia stanza di lavoro è diventata una stanza ricreativa, c’è una tv invece di un pc… ma è tutta una presa in giro…”

A fronte dello spaesamento il gruppo porta subito dopo il tema dell’amore:

“Ero sola, correvo e avevo freddo… appena sveglia sono andata subito da mia madre, che nella realtà ha superato il suo cancro, e le ho raccontato il film, la freddezza dei medici… lasciandomi rassicurare da lei che aveva avuto invece dei curanti molto umani e che aveva avuto la forza di combattere contro il cancro grazie all’amore dei familiari.”

In altri due sogni compaiono un cane buono e la cioccolata… e poi un bellissimo vestito verde… e poi, in un terzo sogno:

“una giungla, un bosco, una paziente di un hospice che mi è rimasta nel cuore… non accettava di morire prima del matrimonio della figlia ma nel sogno invece dice che sta bene e fa lunghe passeggiate nel bosco e mi offre della cioccolata… io la accetto e mi sveglio con un senso di tranquillità e benessere, come non mi succedeva da molto tempo.”

Alcuni interventi riprendono la scena commovente in cui la vecchia professoressa va a trovare la sua ex allieva morente. Alberto Angelini racconta che una persona con cui ha visto il film la sera prima ha pensato che non si tratti di un episodio realmente accaduto ma di un sogno della protagonista che riprende in modo puntuale la scena del film in cui scopriamo l’origine dell’amore per le parole di Vivian. Io concordo pienamente con questa intuizione che si sostanzia di un dettaglio significativo: la professoressa, dopo aver raccontato la favola del coniglietto ed essere così riuscita a far calmare ed addormentare Vivian, esce dalla stanza senza rimettersi le scarpe (che si era tolta all’inizio) ma, inspiegabilmente, le ha di nuovo ai piedi... Un modo raffinato, da parte del regista, per dire che non era un episodio reale. Era un sogno. Un sogno che rappresentava il desiderio di essere trattata come una figlia dalla professoressa/madre per potersi rappacificare con la vita ed abbandonarsi alla morte. Sarà infatti dopo questa scena “onirica” che la paziente deciderà di non farsi più rianimare, in caso di arresto cardiaco, anche se questo comporta l’uscita dal protocollo sperimentale e quindi dalla fredda logica della ricerca. E Paolo Vinci concorda a sua volta con questa ipotesi del sogno… sottolineando che la paziente aveva rifiutato l’offerta di sentire la sua mentore recitare un sonetto di John Donne, e che da lì questa aveva aperto allora il libro della favola del coniglietto riconoscendo che c’era bisogno di ritrovare il mondo degli affetti infantili e non quello della poesia metafisica.

Si conclude così questo workshop cinema e sogni con l’idea che è importante umanizzare le cure in un’epoca in cui la medicina sta diventando sempre più tecnologica… Il discorso del workshop cinema e sogni resta aperto alle infinite altre associazioni e riflessioni che questo modo nuovo di lavorare in gruppo rende possibili.

 

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