☰  
×
eidos

Cinema e guerra

Festival

Intrecci

è un sogno multietnico

Simona Massa Ope

Intrecci è una poesia, i versi sono le immagini composte nei piano-sequenza che si susseguono fluidamente.

La prima inquadratura, il volto della dea dormiente, è una premessa di senso, un “principio”, nel duplice significato di inizio – l’inizio è sempre nel sonno, l’inconscio onirico in cui i sogni si animano e generano vita futura – e di archetipo – i-Dea originaria, madre/matrice generatrice di tutte le forme in cui si può dispiegare il suo élant vital. L’archetipo sotteso alla sceneggiatura è dunque il Femminile.

Inizio e archetipo: un primo intreccio tra dimensione temporale e atemporale, dove si comprende, a poco a poco, come il sonno sognante della dea, che tutto custodisce e fonda, sarà interrotto dal risveglio delle donne viventi, che porteranno nel mondo i suoi valori e la sua energia.

Il museo di Palazzo Altemps[1], a Roma, lo splendido contesto architettonico in cui si svolge la narrazione filmica, è uno spazio atemporale, in cui “le donne che si guardano da lontano”, da lontananze geografiche e culturali, adombrate dalla loro solitudine, a poco a poco confluiscono. Molto evocativo il piano sequenza delle immagini femminili di varie etnie che corrono nelle sale deserte in penombra, tra le statue delle ninfe e delle dee, Afrodite, Proserpina e altre figure mitiche, che testimoniano nella loro immobilità marmorea qualcosa di eterno e fondante: l’intreccio amoroso degli sguardi, la sensualità dei corpi animati da eros, la bellezza, la poesia, l’anima del mondo.

Le donne sono ora vestite di bianco, e il bianco è il colore alchemico del risveglio, l’albedo[2], per esprimerci con la metafora alchemica. Il sonno della dea, in cui tutte sono accolte, le inizia a sé stesse, per questo, credo, sono vestite di bianco, che è il colore della luna, principio femminile e di ogni inizio, di ogni iniziazione.

La consapevolezza di appartenere all’archetipico del Femminile – che, insieme all’opposto archetipico del Maschile, è origine della vita e del mondo – si compie nel sonno, nella coniunctio del sonno, tra la donna e la dea, tra donna e donna. Al risveglio le vesti sono illuminate da colori vivi, tra cui domina il rosso – la rubedo[3] – il colore alchemico del compimento, della realizzazione: diventare potenzialità incarnate, dunque ‘reali’: ‘incoronate’ non nella gloria dei cieli ma nella “materia vivente” del mondo.

Inoltre, le vesti sono scambiate – risveglio più grande! – ognuna indossa, sorpresa, il vestito di un’altra, bellissima immagine simbolica in cui le differenze sono motivo di incontro e non di separazione. Ed ecco di nuovo gli intrecci di “differenze che uniscono”. Una delle formule identitarie più comuni e praticate tra le giovani donne, le sorelle, le amiche, è lo scambio rituale dei vestiti, la necessità di attingere forza e valore dall’identità femminile dell’altra. 

Riconosco un mitema in questo tessuto narrativo, il mito della Bella Addormentata, la celebre fiaba dei Fratelli Grimm.

Andando decisamente oltre il simbolismo specifico della fiaba classica, che vede un principio maschile di eros irrompere nel sonno avviluppante e mortifero della Grande Madre – “Con un fuso ti pungerai e morirai”il sonno della fanciulla è un motivo archetipico, perché è immersione nell’inconscio transpersonale da cui proviene tutta la nostra attività vitale psichica e le nuove forme simboliche che possono rianimarla. Infatti, l’inquadratura che precede il risveglio delle donne, è la sollevazione per le braccia della dea, di cui si vedono la testa e il busto che emergono dal bagno rituale o anche dall’Ade, una delle significazioni più tipiche dell’inconscio transpersonale.

Ma c’è un altro simbolico intreccio nell’opera della regista, l’arte del ricamo, l’abile intreccio dei fili colorati che anima il bianco vuoto con immagini colorate: animali, elementi naturali, fiori, alberi, bambini, cose, case… Un’arte femminile, quella di colorare il mondo, di rappresentarlo nella sua bellezza naturale, di “raccontare”, perché il ricamo narra le storie.

Ricordo per assonanza la tela-sudario dell’artista messicana Teresa Margolles[4], che ha chiesto a delle ricamatrici boliviane di ricamare clandestinamente, sul sangue delle donne e degli omosessuali uccisi e torturati dal regime, i motivi archetipici della cultura azteca, con fili e perle colorate (Sobra le sangre, ricamo collettivo su tela-sudario, 2017). 

Ricordo anche un noto film di Claude Gorette, 1977, La merlettaia, ispirato all’omonimo dipinto del pittore Johannes Vermer, custodito nel museo del Louvre. I musei sono custodi di anima e di bellezza. Un film e un dipinto in cui l’arte del ricamo e della composizione tessile sono una pratica meditativa ed enigmatica, che va molto oltre il risultato artigianale, e testimoniano un altro modo di essere al mondo, composto in un’assorta, creativa introversione, dove il pensiero è reverie.

Certo, in queste due mie citazioni il femminile è tragico. Nell’opera di Maria Barbara Massimilla il femminile esce dalla sua tragedia: l’ultimo piano sequenza è un movimento energetico che porta le donne a ritrovarsi insieme nel mondo reale, separate e “intrecciate” al contempo, un mondo dove portano la loro vitalità gioiosa, la corsa, la danza, il gioco, la loro bellezza, testimonianza e nutrimento dell’anima del mondo.

Un’ultima considerazione che ritengo fondamentale è lo sguardo dell’autrice sul corpo femminile. La cinepresa è impegnata in un continuo cammino circolare, lento e assorto, intorno ai corpi marmorei delle dee, ai corpi viventi delle donne, quasi a mimare con il movimento le loro linee curve e morbide. La cinepresa accosta e intreccia i dettagli delle dee e delle donne. Piedi, mani, scorci sui particolari dei capelli, degli ornamenti, dei gioielli, sul taglio dei colli, delle spalle, degli avambracci e gomiti. Non c’è nulla che violi in questo sguardo il corpo femminile con movimenti intrusivi. La potente sensualità della dea e della donna è restituita con l’antica arte del dettaglio e della postura, che allude ed evoca, mai denuda. Grazie a questo sguardo delicato, ancor più vivo appare l’eros, che pervade di vita vera, non feticistica, il corpo delle donne. Mi viene in mente a questo proposito un’espressione della poetessa Francesca Genti[5], che parla di “fantascienza del corpo femminile”: un mistero e una scoperta, forse non ancora pienamente vissuti nell’amore, e a cui uomini e donne sono chiamati da questa visione di Maria Barbara Massimilla, da questo suo raffinato intreccio di suggestioni immaginali.

 


Intrecci - Interlacements

Regia di Barbara Massimilla
Prodotto da Fondazione Migrantes
Anno di produzione: 2022
Cast: Barsha Debi, Mamy Bintou Sagna, Lei Sofia Jiao, Viviana Anzola Mannino
Sceneggiatura: Maria Barbara Massimilla
Fotografia: Alberto Viavattene
Musica: Ismaila Mbaye, Mattia Del Forno
Montaggio: Alessandro Giordani
Operatore: Pasquale Remia
Costumi: Lei Lantieri

 

 

[1] Palazzo Altemps è la sede aristocratica del Museo Nazionale Romano dedicata alla storia del collezionismo.  Magnifica scenografia architettonica che già nel Cinquecento ospitava una ricca collezione di sculture antiche. 

[2] Secondo la visione dell’alchimia di Carl Gustav Jung, Albedo o Imbiancamento è la seconda fase dell’opera nella sequenza cromatica della trasformazione energetica della materia psichica. Quando la materia è in uno stato di albedo, la coscienza sperimenta l’uscita dalla nigredo, ovvero dall’inconscietà, la nera notte dell’anima. Acquisisce inoltre la funzione simbolica, la capacita di “vedere” oltre le apparenze. E’ una purificazione dell’anima e della mente.

[3] Secondo la visione dell’alchimia di Carl Gustav Jung, Rubedo o Compimento è la terza e ultima fase dell’opera nella sequenza cromatica della trasformazione energetica della materia psichica. Quando la materia è in uno stato di arrossamento, il processo è arrivato alla realizzazione, in cui la materia psichica si è trasformata da vile metallo in oro, aurum non vulgi, che allude simbolicamente alla realizzazione della personalità nella sua unicità più autentica all’interno della totalità della psiche e al pieno ricongiungimento con lo spirito vitale della natura.

[4] Teresa Margolles (Culiacán, Sinaloa, Messico, 1963) vive e lavora a Madrid. È un’artista visiva nota per la creazione di opere d’arte che si concentrano sui temi della violenza, del genere, della povertà e dell’alienazione. Il suo lavoro condanna il sistema politico ed economico che rende normali certe morti violente definite come “effetti collaterali”. Sobra le Sangre è stata esposta, insieme ad altre opere dell’artista, al Teatro dello Scompiglio, Lucca, 2017.

[5] Francesca Genti, in La ballata di Nina Simone, Harper Collins, Londra 2022.

Vedi tutto il numero





La redazione è a disposizione con gli aventi diritto con in quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani o delle foto riprodotti in questa rivista.