Cinema e donne
L'altro film
Daniela Porto con Cristiano Bortone firma la regia del film Il mio posto è qui, storia tratta dall’ omonimo libro di cui è autrice pubblicato da Sperling&Kupfer. Al Bif&st di Bari il film ha vinto i premi per la miglior regia e la migliore attrice. La storia ambientata nella Calabria rurale del dopoguerra è in parte girata nella bella cittadina di Gerace e in un suggestivo angolo di Puglia. Due attori straordinari Ludovica Martino e Marco Leonardi interpretano i personaggi di Marta e Lorenzo.
Del tutto casuale che la trama abbia connessioni con il film della Cortellesi C’è ancora domani, coincidenza in ogni caso significativa, perché l’empowerment femminile e la necessità in questo momento storico di ribadire la libertà delle donne nelle proprie scelte di vita: sul piano esistenziale, lavorativo, politico e affettivo, rappresentano una sfida ancora drammaticamente attuale. I riflessi del patriarcato contro le donne assumono forme sempre più subdole, sotterranee, per poi esplodere in violenze di ogni genere, sino all’orrore dei femminicidi.
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Le mie origini calabresi, essere psicoanalista e fondatrice dell’Associazione DUN – che da anni si prende cura delle donne vittime di Tratta e di violenza – mi hanno avvicinato a questo film con una commozione particolare.
La regista e scrittrice Daniela Porto è riuscita ad evocare fedelmente il clima di un Sud retrivo, ferito dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale, intriso di pregiudizi non solo verso il mondo femminile, ma contro tutto ciò che percepisce diverso e distante da una idea di realtà in cui quella terra e tutto il Paese erano sprofondati, una visione del mondo arcaica e infantilizzante, inginocchiata ai poteri forti e antidemocratici, quelli che assoggettano come appunto il fascismo e in generale tutte le dittature.
Oggi, un modo di pensare patriarcale e omofobo, ancora sottilmente connesso al tragico periodo fascista mai completamente elaborato, riemerge prepotentemente nella realtà del nostro Paese come ‘resto psichico non analizzato’, ‘resto’ parassitato in una piega dell’inconscio collettivo della nazione.
Quanto accade alla psiche individuale può essere esteso anche alla psiche collettiva: dalla ricerca psicoanalitica è noto che nelle patologie borderline, narcisistiche e in altri quadri clinici, risulterebbe un blocco nella comprensione della complessità di situazioni limite – dovuto a un’area indifferenziata della psiche – si tratterebbe di affetti irrappresentabili atemporali e originari, che precedono il simbolico e la percezione della temporalità in senso lineare, come appare diversamente in una psiche differenziata. Questi affetti sono disconnessi dalle rappresentazioni. Nel modello dell’indifferenziato applicato all’inconscio non valgono più dunque i principi di determinismo, di temporalità lineare, di causalità, di comunicazione intersistemica, prevale diversamente il vuoto delle rappresentazioni. Tale ‘assenza’ di rappresentazioni sul piano del collettivo, crea nel vissuto di alcuni individui, nei confronti delle catastrofi che colpiscono il mondo (guerre, genocidi, dittature) – una percezione statica della Storia, il paradosso di una Storia priva di memoria, cieca riguardo a fatti e accadimenti traumatici che perdono la complessità del loro significato e cadono nell’oblio, per ritornare inesorabilmente e tragicamente a riemergere – poiché mai rappresentati nella loro luce, mai pertanto metabolizzati nell’elaborazione condivisa e consapevole.
Basti riflettere oggi sui molteplici recenti accadimenti che hanno spinto a regredire verso un passato conflittuale, divisivo, discriminatorio, razzista; assistiamo da più lati a dichiarazioni che coltivano l’ambiguità, senza ammettere a chiare lettere lo sfacelo creato in passato dal fascismo e la sua collusione con il nazismo. Una tendenza a ‘negare’ che pericolosamente si sta diffondendo nel nord del mondo.
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Lo scrittore Antonio Scurati con la sua trilogia storica su Mussolini (da lui definita di romanzi documentario) ha offerto delle opere di scottante attualità ritenute magistrali dai più autorevoli critici letterari del mondo, soprattutto rompendo un tabù: quello di non toccare materiale storico incandescente come la genesi del fascismo e la sua disfatta, per immergersi coraggiosamente in una analisi sulla memoria storica ricostruendo dall’interno le origini tra violenza e fascismo.
Anche Il mio posto è qui ha la preziosità di infrangere pericolosi tabù: non rinuncia a seguire le tensioni innovative di crescita identitaria, di soggettivazione, per asservire gli strascichi e retaggi culturali del fascismo e della monarchia, ancora così vivi in quella società italiana post bellica.
Entrambi i protagonisti di questo film legittimano con crescente coraggio il diritto di essere loro stessi, di liberarsi dai condizionamenti dei regimi, di volare via dalle pastoie di un mondo chiuso e retrivo. Questa trasformazione verso una vita attraversata dalla libertà e dal desiderio avviene nel film con una tempistica perfetta, tiene per mano i due protagonisti che affrontano un vero e proprio processo di individuazione. Sullo sfondo si muovono i grandi temi del lavoro, della politica, dei diritti umani, della libertà sessuale. Il tutto si fonde nella dolcezza del paesaggio, nella metafora di una motocicletta che sfreccia in un andare e venire spostando nello spazio i due protagonisti che sognano il cambiamento, all’interno di case dove l’amore si esprime liberamente senza veli, su tavoli dove battere i tasti di una macchina da scrivere realizza con umiltà e pazienza le prospettive dell’emancipazione.
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Daniela in modo empatico e potente sei e siete riusciti nell’intento, il riscatto del femminile, ma non solo, l’amicizia tra Marta e Lorenzo a mio avviso rappresenta anche una nuova alleanza tra maschile e femminile, sia sul piano di funzioni intrapsichiche individuali, sia sul piano della relazione uomo donna... nel profondo di questa straordinaria esperienza tra scrittura e immagine cosa desideravi esprimere attraverso di loro?
Daniela Porto Ho voluto narrare la storia di una profonda amicizia tra Marta, una ragazza madre nella Calabria del ‘46, e Lorenzo un omosessuale che aiuta le ragazze a organizzare i loro matrimoni. Marta vive in una condizione difficile, perché costretta a sposarsi avendo partorito un bambino al di fuori del matrimonio, la famiglia la destina a un uomo vedovo che lei non ama – da questo incontro tra Marta e Lorenzo, due emarginati, si svilupperà una bellissima relazione, un reciproco percorso d’individuazione, verso l’emancipazione e la libertà.
Mi piaceva che fosse ambientato in Calabria raccontando una storia femminile di crescita, l’amicizia con un diverso, come diversa viene percepita lei stessa dalla famiglia e dalla comunità, l’unirsi delle loro sofferenze diventa nel corso della narrazione un punto di forza. Anche Lorenzo ha subito disprezzo, umiliazioni, affiancando queste due solitudini, facendosi forza l’uno con l’altro, riescono a realizzare ciò che desiderano e a prendere in mano la loro vita.
Alla fine della seconda guerra mondiale, nel contesto di una generale euforia ideologica, c’era da parte dei movimenti femministi una grande speranza che questo ruolo si evolvesse in un cambiamento radicale della posizione della donna nella società. Ma i governi del Paese e i due blocchi politici di centrodestra e sinistra, contribuirono a soffocare ogni radicale cambiamento, consolidando di fatto il potere patriarcale e tradizionalista. Si devono aspettare gli anni ‘60 affinché, nel contesto di nuove spinte sociali, il tema dei diritti della donna tornasse in primo piano. È interessante notare come il femminismo a quel punto si saldò con le richieste della comunità gay. Proprio per questo motivo mi è piaciuto creare questo sottotesto anche nella mia storia.
Ancora oggi assistiamo a una delle sfide più grandi dell’emancipazione femminile, nonostante ci siano differenze di genere tra uomo e donna, la sensazione è di tornare un passo indietro nella relazione maschile/femminile e nel campo dei diritti civili. La situazione ovviamente è diversa dal ‘46, quando mancava totalmente una educazione riguardo a prospettive di realizzazione futura o un’apertura verso una sessualità consapevole. Si passava dalla casa dei genitori a quella del marito, non venivano trasmessi gli strumenti psicologici per affrontare la realtà esterna. La grande chiave violenta del patriarcato è stata quella di non dare alle donne gli strumenti per affrontare il mondo... basti pensare all’Afganistan, il ritorno dei talebani ha tolto il diritto alla donna allo studio. Nel nostro
paese il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, spesso si banalizza su questo argomento, ma sono tutte testimonianze di quanto le donne siano state assoggettate nei secoli. Ancora oggi queste discriminazioni sono presenti anche in culture altre, sia contro la libertà delle donne, sia contro l’omosessualità.
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La trasposizione dal libro al film è stata una grande esperienza, bellissimo dare corpo alle immagini. Il fatto di essere coregista con Cristiano mi ha aiutata a integrare gli sguardi. Quando abbiamo cominciato a pensare al modo di adattare il romanzo per il grande schermo, il primo passo fondamentale è stato quello di capire lo stile da dare alla nuova opera. Abbiamo deciso di voler proiettare lo spettatore direttamente all’interno del mondo descritto dalla storia. L’idea era quella di farlo entrare a far parte di una vicenda ambientata nel passato, facendogli così sentire come queste emozioni risuonassero anche nel presente. Per questo abbiamo scelto ambientazioni molto realistiche, lontane dalla visione patinata del meridione italiano che si vede in tante fiction televisive. Il sud Italia dopo la guerra era un luogo sporco, misero, per certi versi disperato, che potrebbe oggi ricordarci alcuni luoghi da cui provengono molti migranti. Nella scelta delle luci ci siamo ricordati come in questi luoghi non esistesse ancora l’elettricità. L’illuminazione utilizzava solo lampade ad olio e seguiva il ciclo della luce naturale. Infine, abbiamo voluto portare la macchina da presa all’interno della scena, spesso a mano, in modo da creare il più possibile un senso di realismo.
Titolo originale: Il mio posto è qui
Paese di produzione: Italia, Germania
Anno: 2024
Regia: Cristiano Bortone e Daniela Porto
Soggetto: Daniela Porto
Fotografia: Emilio Costa
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musiche: Santi Pulvirenti
Cast: Ludovica Martino, Marco Leonardi, Anna Maria De Luca,
Bianca Maria D’Amato, Giorgia Arena, Francesco Aricò, Saverio Malara
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