Cinema e guerra
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No Man’s Land è un film di particolare attualità, un racconto comicamente amaro della guerra nell’ ex-Iugoslavia (1993) tra serbi e bosniaci e, per traslato, di tutte le guerre di ogni tempo. Lungi dall’offrire una rappresentazione spettacolare del conflitto bellico, Danis Tanovic, con una messa in scena quasi teatrale, traccia il profilo umano di due soldati, l’uno bosniaco e l’altro serbo, antieroi per caso, costretti loro malgrado a una guerra di trincea. Con una ripresa scarna, cruda e incolore il regista, che ha curato anche la sceneggiatura e la colonna sonora della pellicola, non mostra interesse a mettere in luce le ragioni dell’una o dell’altra parte, quanto a sottolineare l’assurdità e la disumanità di un conflitto nel quale tutti sono destinati a perdere.
Un esordio brillante, per il regista serbo-bosniaco, che gli è valso numerosi premi, tra cui l’Oscar come miglior film straniero (2002) e come miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2001, oltre la nomination come miglior film straniero al David di Donatello 2002.
Quando Einstein chiese a Freud se ci fosse un modo per affrancare gli uomini dalla minaccia della guerra (Freud S., e Einstein A., 1932, Perché la guerra? OSF, 11), Freud ribadì “la fatalità della guerra” e fornì le ragioni che lo rendevano pessimista sul futuro della civiltà e scettico sulla possibilità di riuscita di un trattato di pace perpetua. “Non è possibile – scriveva – abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra”. La guerra è dunque la manifestazione, una delle peggiori, della tendenza alla scarica distruttiva della pulsione aggressiva insita nella natura umana e insopprimibile. In tempo di guerra gli uomini tendono a regredire e a liberare contenuti psichici rimossi, che trovano nel conflitto l’opportunità di mettere in atto una violenza che era stata relegata nella sfera della fantasia in nome della convivenza civile.
Tuttavia, proseguiva Freud, pur dichiarandosi fortemente dubbioso che “tutti possiamo diventare pacifisti”, lasciava aperto uno spiraglio di fiducia ipotizzando che l’aggressività potesse essere interiorizzata grazie alla spinta evolutiva della civilizzazione e all’instaurarsi delle identificazioni fondate “sui legami emotivi tra gli uomini” e sulla “condivisione del valore della ragione” e del pensiero. Dunque la consapevolezza e la responsabilità dei propri impulsi aggressivi da parte dell’individuo, la capacità di sviluppare relazioni fondate su sentimenti di solidarietà e empatia con l’altro, possono contenere e trasformare la spinta ad agire la rabbia e l’odio nella ricerca di uno spazio attraverso (Διά) il quale il λòγος possa svilupparsi.
E proprio di tale spazio di incontro-scontro si fa metafora la trincea collocata sulla linea di confine tra i due schieramenti nemici, dove il serbo Nino e il bosniaco Ciki si ritrovano, in compagnia di un commilitone bosniaco, Tzera, trasformato in un’esca letale dalla mina antiuomo su cui è sdraiato. Una terra di nessuno, dove tra la minaccia esterna dei due eserciti e quella interna della mina, i due nemici si guardano negli occhi e si riconoscono nelle reciproche paure e fragilità.
Si sviluppano tra loro dinamiche contrastanti, che oscillano tra il grottesco e il tragico, tra una scanzonata comicità dal retrogusto amaro e il dramma. Divisi tra diffidenza e voglia di solidarizzare si accusano a vicenda di aver dato avvio alle ostilità, si minacciano, si feriscono ma anche si avvicinano per cercare di risolvere sia il problema della mina tenuta bloccata dal loro collega, sia della minaccia di entrambi gli eserciti che li additano come nemici. Tra i due, Tzera, esausto e disperato, il quale sembra incarnare il modo in cui, in tempo di guerra, l’esperienza della morte muti radicalmente di segno, passando dalla sua casualità all’impossibilità di essere messa da parte, come osserva Freud in Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915) di fronte alla prima guerra mondiale.
Attraverso dialoghi brillanti e tesi Tanovic delinea un rapporto umano e controverso, in equilibrio precario tra ostilità e amicizia ed è emblematico il passaggio in cui i due protagonisti si entusiasmano scoprendo di avere un’amica in comune: due possibili amici costretti a spararsi!
Con piglio documentaristico lo sguardo dell’autore si sposta sulle barricate nemiche, sui Caschi Blu apostrofati ironicamente Puffi, come a sottolineare la loro inefficienza, e sui mass-media protesi a ricercare lo scoop. Alcune caratterizzazioni caricaturali del diplomatico e grossolano disinteresse degli alti ufficiali dell’esercito e dei funzionari dell’ONU e della curiosità famelica della stampa presente, sono una potente denuncia di come la realtà possa essere deformata quando si ricorra alla violenza per rispondere ai problemi. Nessuno è veramente interessato alla vita umana, se non in forma retorica: tutti gli osservatori esterni riconoscono l’orrore, ma nessuno fa nulla per arrestarlo, diventandone essi stessi complici, perché, come dice un personaggio: “La neutralità è già una scelta”.
No Man’s Land è coinvolgente, vivido e difficile da dimenticare, sarcastico e terrificante insieme, con impennate umoristiche che gelano il riso in gola, riportando alle atrocità della guerra; un film che espone lucidamente l’inutilità e la disumanità del conflitto e ancor più una riflessione pessimista sulla incapacità dell’uomo di comprendere sè stesso e il prossimo.
Titolo originale: Ničija zemlja
Paese di produzione: Bosnia ed Erzegovina, Italia, Belgio, Regno Unito
Anno: 2001
Regia: Danis Tanović
Sceneggiatura: Danis Tanović
Musiche: Danis Tanović
Cast: Branko Đurić, Rene Bitorajac, Filip Šovagović, Katrin Cartlidge, Georges Siatidis, Serge-Henri Valcke
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