Cinema e donne
Cinema e Psyche
“Gli uomini vanno a letto con Gilda
e si risvegliano con me!”
Rita Hayworth
1895! Grazie ai fratelli Lumière la fotografia vive lo straordinario sviluppo chiamato Cinematografo: immagini in movimento proiettate su di un grande schermo bianco. Una magia che diventerà, e resterà, lo spasso collettivo e la consolazione di uno stuolo infinito di sbalorditi spettatori. L’invenzione maschile che offrirà alla donna opportunità inimmaginabili nonostante il maschilismo dei suoi ideatori.
Parafrasando il celebre Et Dieu crea la femme (Roger Vadim,1956), potrei dire che furono Registi, Sceneggiatori e Produttori i creatori su celluloide della donna dei ‘loro’ sogni. E’ facile immaginare l’eccitamento onnipotente ed il sottile godimento di chi poteva finalmente librare l’immaginario, dando corpo e voce, almeno nella fiction, a fantasmi e fantasie sessuali inconsce sul femminile. Che brivido per le menti maschili trasporre in immagini i propri tòpos femminili.
“Io non sono cattiva. E’ che mi disegnano così!” - rammenta a tutti la sinuosa Jessica Rabbit.
Roger Vadim, indirettamente, riconosce a se stesso la funzione di deus faber della celebre bomba sexy del ‘900 europeo, Brigitte Bardot. Dopo Marylin, la svampita d’oltreoceano, arriva B. B. nel ruolo di una biondissima imbronciata birichina. Fianchi stretti, petto sodo, cosce lunghe, la Bardot ha stuzzicato vogliosi maschioni e maschietti di più generazioni. Ancora oggi a Capodanno balliamo la samba Brigitte bijou, simbolo di allegria a lei ispirato. Direi che l’immaginario maschile e le sue narrazioni iniziano da Eva e proseguono raccontando l’eterna seduzione che travolge il maschio di turno.
Greta Garbo
Le icone femminili cambieranno nel tempo, ma non cambierà la predisposizione di Adamo ad attribuire ad Eva la colpa per la degustazione del frutto proibito: la fonte di tentazione è fuori di me. Responsabili degli smarrimenti erotici degli Ulisse di turno seguiteranno perciò ad essere le solite Calipso, Circe o Medea. Vergine o meretrice è sempre Lei che spinge al peccato, con buona pace della psicoanalitica proiezione. E’ rischioso per la donna uscire dal rassicurante schema maschile che la vorrebbe ingenua, sessualmente e intellettualmente mite, disposta al perdono di intemperanze e scappatelle. E’ rischioso anche essere bella e oggetto del desiderio maschile negato. Attraverso il cinema un monito per tutte: fare attenzione all’uso delle mele. Se tutto andrà al meglio però, Eva potrà riscattarsi impersonando la funzione di ‘costola di Adamo’. I topos cinematografici prevalenti, comunque, seguiteranno a trarre ispirazione dagli archetipi, dell’Olimpo e della Mitologia, greci: Venere, Giunone, Atena, Diana, Proserpina, Arianna…fino alla volitiva e terrificante Medea. Durante il periodo che va dal cinema muto a quello sonoro (1928), sorgono e tramontano numerosi astri femminili che sembravano eterni. Per ogni tramonto nuove stelle si affermano. Giovinezza e sex appeal sono essenziali per trascinare folle di spettatori desiderosi di sognare. Mary Pickford e Gloria Swanson perciò cederanno presto la scena ad altre, così come accadrà ad Edy Lamar, Ingrid Bergman, Grace Kelly, Claudette Colbert, Barbara Stanwyck, Bette Davis, Joan Crawford, Katharine Hepburn, Joody Garland.
La fabbrica di sogni e stelle decolla in via definitiva negli anni ‘30. E il Cinematografo regalerà agli abitanti di questo pianeta passioni, successi, avventure, sogni proibiti e grandi amori. Per chiunque possa pagarsi un biglietto, dee e semidee irraggiungibili saranno a portata di mano. Buio in sala! A ciascuno il suo sogno. Hanno la D maiuscola le Donne fatte di sogno. Insinuandosi nell’immaginario collettivo, hanno incantato i sopravvissuti di due conflitti mondiali bisognosi di dimenticare morte distruzioni e dolore. Lo Star System non si ferma mai. Dive, narrazioni filmiche e stereotipie del femminile non hanno smesso di evolvere e affascinare: specchietti per allodole e specchi in cui riflettersi. Il cinema riflette e rispecchia la società che lo crea.
Attraverso la cinepresa l’occhio maschile ha dato vita ad un femminile filtrato dai propri costrutti difensivi di base. D’altronde l’oscuro timore del sessuale femminile è presente fin dalle origini delle narrazioni bibliche. Freud definisce la donna ‘Il continente nero’. Non stupisce perciò che le narrazioni filmiche del femminile siano attraversate da una quota di misoginia, mascherata con idealizzazione o demonizzazione. Il timore dell’eterno femminino ha sempre impregnato fantasie inconsce maschili e relative raffigurazioni del femminile. Accanto a fate sexy, sofisticate, bellissime, irreali e irraggiungibili, primeggiano streghe potenti, distruttive e persecutorie come Medea. I filmmakers hanno divertito, eccitato, suscitato amori odi e disprezzi, dando liberamente voce alle proprie ossessioni sul femminile. Passeranno decenni prima che registe come la Champion possano offrire nuove prospettive da cui guadare alla donna. Naturalmente bellezza e sex appeal erano essenziali per la sopravvivenza scenica della Diva di allora e, tranne eccezioni (è così diverso oggi?) la vita artistica nello Star System si arenava intorno ai quarant’anni. Si potrebbe dire che i cantori del femminile cinematografico abbiano lasciato alle cineteche una collezione sterminata di timori atavici, desideri inconsci e proiezioni maschili.
La magia hollywoodiana, tuttavia, sottende molto altro, non ultimo il ‘mercato’ dei sogni necessario ad alleviare la vita di masse proletarie asservite alla produzione industriale nascente. Bisognava sollevare e conquistare, distrarre e ammaliare masse indigenti, immiserite dalla Grande Depressione e schiacciate da fatica quotidiana e guerre. Come osserva S. Argentieri nella prefazione al magnifico volume Star di Alvise Sapori, le immagini femminili iperboliche o metaforiche offerte dalle Star hollywoodiane non erano semplicemente simboli di vita e sex appeal, ma rappresentavano una “personificazione dell’organizzazione psicologica difensiva contro la depressione. Perfetta per favorire proiezioni piuttosto che identificazioni” (S. Argentieri prefazione a Star, A. Sapori, 1984). Ava Gardner, Lana Turner, Ginger Rogers, Jean Harlow, Rita Hayworth non erano solo oggetti di desiderio e proiezioni maschili, erano anche figure antidepressive. Fantastici distrattori di massa in grado di condurre le menti aldilà del reale quotidiano, oltre i bilanci domestici.
Divina tra le Dive e splendente di bellezza fuori dal tempo, Greta Garbo. Satana per l’arcivescovo di New York, fata per il resto del mondo. Incarnazione dell’eterno femminino, senza rivali, dai ’20 ruggenti ai ’40. Forse era gay? Forse no, chissà? Nel privato misteriosa come si addice a un mito. Occhialoni, grandi cappelli, scarpe basse, pantaloni e giacche maschili. Per un ventennio fu l’incontrastata icona dello Star System. Quando la luce in sala si spegneva, ogni scalcagnato spettatore poteva immaginarla sua. O forse no?! “Dammi un whisky! Ginger ale a parte! E non essere tirchio, baby!” La celebre battuta della Divina scivolava dal suo enigmatico sorriso liscia come l’whisky sorseggiato. Potevi immaginarla al bancone del bar dietro casa. Chissà, forse alzerà il gomito con te. E che dire di Marlene? La Dietrich! Vamp gambe di sogno e sigaretta sempre accesa. Chissà perché anche lei androgina e ambigua quanto basta, forse per alimentare fantasie proibite bisex? Sognare è permesso. Nel cinema che va dal ’29 (arrivo del sonoro) al ‘48 (arrivo della Tv) le rappresentazioni femminili si trasformano e le Dive un tempo, ritratte come Doppi idealizzati o ricettacoli di proiezioni, fantasie inconsce e aspettative maschili, cedono il passo a figure e ruoli di donna più vicini al reale. Si potrebbe dire che J. Ford rappresenti un punto di svolta. Attraverso l’esodo verso la California, Furore (1947) racconta l’America della Grande Depressione, quella dei poveri cristi che come la famiglia Joad si spostano in cerca di una vita plausibile. Tratto dall’omonimo romanzo di J. Steinbeck, il film è insieme denunzia e manifesto della rabbia degli umili, delle masse immiserite da sfruttamenti guerre e carestie. Ma’ Joad, la protagonista femminile interpretata dall’iconica antidiva J. Darwell, non è una star, ma una madre scarmigliata, sdrucita e sformata da gravidanze e fatiche quotidiane. Suo marito, ‘Pa Joad, al contrario di lei è sopraffatto dalle difficoltà. Ford celebra la donna comune, Mater familias e colonna portante della società.
Rita Hayworth
Sul grande schermo si avvicenderanno good-bad-girl sempre più reali, ma il Codice Hays vigilava su tutto. Attento sui limiti del rappresentabile, indicava chiaro cosa mostrare e cosa non mostrare. I criminali andavano sempre puniti, bandite omosessualità e relazioni amorose tra etnie diverse, adulterio e divorzio. Letti separati anche per le coppie sposate. Eppure le sfide alla censura non sono mai mancate. Famosa per questo era Mae West, attrice e sceneggiatrice dei suoi film. Si era costruita un personaggio forte e disinibito dalle fulminanti battute a doppio senso, come la celebre "Tesoro, hai in tasca una pistola oppure sei solo contento di vedermi?"
Dopo Pearl Harbour (’41) il cinema si allontanerà definitivamente dalla donna irreale della screwball comedy (commedia svitata-sofisticata) e dalle romantiche smarrite. Siamo ancora lontani dalla donna Samurai a stelle e strisce in tuta gialla, protagonista senza nome di Kill Bill (U. Thurman), tagliente come la sua katana (Tarantino 2004). Guerre e femminismo accelerano l’emancipazione della donna e il cinema si adegua mettendo in scena un femminile sempre più libero e articolato: madri, donne amorevoli e donne in carriera, donne combattenti, eroine positive e avventuriere audaci come maschi. Si spazia da figure femminili come Doris Day, fidanzatina d’America, cordiale dinamica e fresca come brezza, alla femme fatale sigaretta e labbra scarlatte come Lana Turner, Ava Gardner, Lauren Bacall, Joan Crawford, Vivien Leigh. Da La donna del ritratto (Joan Bennett), ambiguamente al confine tra innocenza/colpevolezza e realtà/apparenza (F. Lang, ’44) si passa a Gilda (C. Vidor, ‘46). L’indimenticabile Rita Hayworth (malgrè soi detta L’Atomica per la foto sulla bomba sperimentale di Bikini) fluttuando la chioma rossa canta Put the Blame on Mame denudando il braccio guantato di nero, ipnotizza la sala. Ma subito Jonny la schiaffeggia.
Non manca di certo il femminile domestico, prolifico e coraggioso in guerra. In Prigionieri del passato (M. LeRoy, ’42) un veterano perde la memoria ma non l’amore della donna che lo aiuterà a ritrovarsi. E ancora per la regia di W. Wyler (Oscar’43) La signora Miniver (Greer Garson), tosta casalinga inglese che anche sotto le bombe tiene in piedi la famiglia.
Indimenticabile Star anni ’50/60, la fragile rosea Marilyn Monroe! Amante di un Presidente, morbido fisico statuario e testa platinata. Sensualmente irresistibile, solo in apparenza svampita, spontaneamente ironica. Chi non la ricorda in Quando la moglie è in vacanza (B. Wilder ’55)? E’ un cult la scena del vento della metropolitana che le alza la gonna mostrando quel tanto di intimo che stuzzica i maschi. E ancora, Gli uomini preferiscono le bionde (H. Hawks ’53), Come sposare un miliardario (J. Negulesco’53), La magnifica preda (O. Preminger’54), Niagara (H. Hathaway’50), Gli spostati (J. Huston’61). Tutti film celebrativi di ciò che gli uomini più hanno temuto e desiderato del femminile. In A qualcuno piace caldo (B. Wilder’59) l’ingenua supersexy se la batte con J. Lemmon travestito da donna, un personaggio che oggi si definirebbe queer. Nell’ iconico imprevedibile finale, rivelerà: Ma sono un uomo! E lo spasimante miliardario risponderà: Nessuno è perfetto!
Audrey Hepburn (anni ‘50/60), incarna l’adolescente che per il suo Pigmalione si trasmuta in donna hot couture. Una bamby candida e trasgressiva sincera q.b. per incantare, senza troppo spaventare, maschio ancora di stampo patriarcale. Sabrina (B. Wilder, ’54), Cenerentola a Parigi (S. Donen, ’67), Colazione da Tyffany (Edwards, ’61), My Fair Lady (‘64 J. Cukor) rendono una Audrey sessualmente agli antipodi da Marilyn e Brigitte. Siamo di nuovo nell’iperuranio del femminile che offre al maschio sonni tranquilli e promuove al contempo l’emulazione femminile.
Insieme alle tipologie femminili, ovviamente, cambiano trucco, modi di vestire e atteggiamenti.
Lo stile Swing-Fever, che per primo aveva esaltato i corpi femminili sottolineandone le forme, apre la strada al trionfo della corporeità femminile sempre più protagonista dello schermo, svestita (Barbarella, Vadim,’68, J. Fonda) o vestita da maschi per lo sguardo di maschi. Le spettatrici si adegueranno.
Su questo tema si cimenta la regista americana Nina Menkes col suo documentario Brainwashed: Sesso Cinema e Potere (2024). Grazie a una straordinaria sequenza di clip, scorrono immagini di centoventicinque anni di storia del cinema, viste attraverso voyerismo e sfruttamento del corpo femminile in un mercato maschilista. Uno sforzo di teorizzazione visiva del rapporto diretto tra immagini filmiche e abusi subiti dalle donne nell'industria cinematografica.
Marilyn Monroe
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