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Psicoanalisti in Lockdown

Efemeridi di menti a distanza

Stefano Lussana

La pandemia Covid-19 ha segnato le nostre esistenze sia come esseri umani, sia come cittadini del mondo, sia come analisti nel lavoro con i pazienti. Il bel libro curato da Monica Horovitz e Adelia Lucattini, che ha per titolo Psicoanalisti in Lockdown, ne è un’autentica testimonianza. Rappresenta il lavoro di un gruppo di quattordici analisti di tre continenti, in particolare di nazionalità argentina, francese e italiana, che si sono trovati a confrontare le loro esperienze cliniche e non solo in un momento di limitazione delle libertà individuali imposta da uno stato di emergenza sanitario. La Lucattini definisce il lockdown come un “confinamento domiciliare”, “una misura d’emergenza in una situazione di pericolo in cui per questioni di sicurezza viene impedito temporaneamente di entrare e uscire da un’area e da un edificio”. L’esperienza psichica che ne consegue è anche quella di un confinamento mentale che deve essere accolto, elaborato internamente da parte dell’analista e restituito modificato nel rapporto con il paziente. Metterei ben in evidenza il sottotitolo del libro, Efemeridi di menti a distanza, che descrive uno stile di lavoro degli autori dello scritto: raccontano i tre mesi del lockdown, come una sorta di diario di bordo, con una frequenza degli incontri del gruppo ogni tre settimane, nel quale ci si interroga sul cambiamento del setting dal vivo in remoto che implica una relazione non più in presenza tra analista e paziente. A proposito di diario di bordo alcuni di noi hanno pensato che ci siamo trovati con i pazienti sulla stessa barca, in una condizione di condivisione reciproca, nel navigare in acque tempestose. Avevamo sperimentato l’analista senza divano con i pazienti più gravi e ci siamo trovati dinnanzi da un giorno all’altro, senza scelta, anche all’analista senza il corpo dal vivo del paziente e per complemento del paziente senza il corpo dal vivo dell’analista, dove pertanto il contatto fisico non tanto viene vietato ma quanto viene negato.

Si tratta di un’estensione del metodo in campo analitico? Il gruppo di lavoro di cui si sta parlando è stato coordinato da Monica Horowitz (SPP) con la collaborazione della psichiatra e psicoanalista franco-argentina Janine Puget (APdeBA) la quale ha posto al centro della sua attenzione e della riflessione di tutti la questione legata al grado di sovrapposizione del mondo del paziente e di quello dell’analista così come, ancora di più, della realtà della pandemia Covid-19 e della realtà psichica sofferente del paziente. In questa sovrapposizione delle due realtà la distanza in seduta era passata improvvisamente dal solito paio di metri del rapporto reale ad un numero di chilometri del rapporto virtuale, così che ci si poteva domandare se ci si poteva consentire ancora la sovrapposizione delle menti che si toccano che si compenetrano o che creano il terzo analitico? In ogni caso si osservava una contaminazione virale del campo analitico e ci si adoperava ad allestire come una specie di pronto soccorso, un setting digitalico che per quanto metteva in crisi le nostre fondamenta dell’incontro in presenza ci permetteva di continuare a lavorare per stare vicino ai nostri pazienti seppure in una condizione di distanza nel pericolo. Il trauma vissuto da analista e paziente si poteva configurare nei termini di “una sindrome della parete in frantumi” per cui il contenitore studio della coppia analitica si dissolveva e andavano ridisegnati nuovi confini per evitare la catastrofe attraverso le capacità comunicative e elaborative di analista e paziente. In un’analisi a distanza oltre a lavorare, dove questo è possibile, al lutto della realtà fattuale in favore di quella psichica, bisogna altresì fare il lutto del corpo dell’altro. Per esempio se il paziente dovesse piangere in seduta, l’analista non sarebbe nella possibilità di porgergli un fazzoletto, che potrebbe essere l’equivalente di un gesto psichico. Va detto che l’analista è custode al contempo dell’esame di realtà quando richiede al paziente l’uso della mascherina o del distanziamento sociale.

Il gruppo di lavoro esprime i suoi referenti teorici nell’opera di Bion ma anche in altri autori. Un concetto bioniano che è tornato utile in questo periodo è stato quello di “capacità negativa” (1), da intendersi nel senso di poter sostare e transitare nel dubbio e nell’incertezza, per fare lavorare liberamente la mente senza correre a conclusioni affrettate; con questa modalità di funzionamento psichico, inoltrandosi verso mondi ignoti, è in qualche misura possibile cercare di accedere a nuovi pensieri per trasformare emozioni violente in tollerabili. In altre parole l’analista assume un assetto mentale non focalizzato su memoria, desiderio e finanche comprensione ma si dispone ad intuire la verità emotiva del paziente in modo che si possa eventualmente trasformare nella sua crescita mentale. Tornare a vivere dopo il lockdown non significa tornare indietro a prima della pandemia ma provare ad andare avanti tenendo conto delle modifiche di vita che sono intervenute nel corso di questo periodo, un “cambiamento catastrofico” (2), per dirla alla Bion, del mondo come era al mondo come è, il che vuol dire sapere affrontare responsabilmente la solitudine e l’angoscia. In conclusione si può affermare che l’analista in lockdown si impegna a fondo a, parafrasando Bion, “cavarsela bene in un brutto affare” (3), in altri termini di pensare al dolore del paziente o a sognarlo nei casi migliori, trasformandolo in una capacità di soffrire il dolore da parte del paziente. Il lockdown globale della primavera 2020 possiamo associarlo ad un break-down collettivo e quest’ultimo si sta provando a trasformare in un break-through, un’esperienza vitale di attraversamento, di contenimento, di elaborazione e di scoperta del trauma vissuto. Per chi fosse interessato mi permetto di segnalare un libro (4) affine a quello recensito.

 

(1) W. Bion (1970), Attenzione e interpretazione, Armando Editore, Roma, 1973, capitolo 7 e 13.

(2) W. Bion (1974), Il cambiamento catastrofico, Loesher Editore, Torino, 1981.

(3) W Bion (1979), “Making the best of a bad job” in W. Bion (1987), Seminari clinici, Cortina Editore, Milano, 1989.

(4) A.M. Nicolò (a cura di), L’ascolto psicoanalitico in emergenza, Angeli Editore, Milano, 2021.

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