Cinema e donne
L'intervista
Non poteva mancare in questo numero di Eidos l’incontro con la narrativa contemporanea, una importante chiave di lettura della complessa realtà in cui viviamo. Per tale motivo abbiamo deciso di intervistare Raffaella Lops, editor e agente letteraria, che si occupa di esordi e recentemente ha curato l’editing dell’Età Fragile di Donatella Di Pietrantonio (Premio Strega 2024). Raffaella Lops, con la collaborazione di Marzia Grillo, editor e scrittrice, da alcuni anni guida gli incontri mensili di un gruppo di lettura in cui ciascuno porta un contributo di apprezzamento o anche di critica del libro proposto e in cui, soprattutto, si respira la passione per la lettura. Una passione nutriente che vale la pena di condividere.
Raffaella Lops, come mai hai deciso di creare un gruppo di lettura e che senso ha oggi?
Mi è venuto in mente perché penso che la lettura oggi possa essere un momento di condivisione importante, che il romanzo contemporaneo esiste e che questo romanzo contemporaneo deve riguardarci di più. La letteratura in qualche modo ha perso la sua battaglia nel dibattito pubblico; raramente tu senti menzionare il titolo di un libro da chi si occupa di decisioni politiche o in generale della nostra vita. Questa perdita che secondo me è grave, è anche la perdita dell’intellettuale inteso come chi scrive e che quindi è solo dentro al romanzo. Un gruppo di lettura è proprio questo: è riportare il romanzo nelle persone e dentro a un gruppo di persone.
In quale modo svolgi il tuo lavoro di editing?
La cosa che mi piace molto è scoprire nuove voci; negli ultimi anni ho dedicato molto tempo a scoprire voci giovanili e a prestare esperienza ai giovani che sembrano persi quando escono dalle scuole di scrittura. Intercetto delle voci o degli sguardi che io reputo interessanti, voci che hanno un retroterra, un mondo, un’ossessione. Questo è importante per me: trovare qualcuno che abbia delle ossessioni soprattutto in questo mondo giovanile. Questo mi sembra l’elemento con cui cominciare il lavoro, aldilà a volte della scrittura.
Parliamo di qualche ossessione. La figura della madre o la relazione madre-figli?
Ad esempio. La relazione madre-figli mi ha sempre interessato. Mi viene in mente Quaderno proibito, il libro di Alba De Céspedes che noi abbiamo letto, dove c’è una madre prefemminista ossessionata dalla relazione con i figli, dalla sua troppa cura, dal troppo invischiamento con i figli. Il tema dell’invischiamento per me è sempre stato molto importante, lo cerco in una autrice contemporanea come Carmen Totaro che più di tutti secondo me riesce ad andare sull’ossessività in questo rapporto. Lei non è mai retorica nella descrizione del materno, anzi, riesce a portare in scena un materno negativo. Oggi, bisogna avere il coraggio di portare in scena questo materno negativo e non consolatorio come accade spesso nella fiction televisiva o nel cinema. Pensiamo per esempio al film di Paola Cortellesi C’è ancora domani (2023) che ha avuto un enorme successo. Il film porta in scena un materno che da una parte è vessato dall’uomo ma che nel rapporto con la figlia è ultra positivo. Io non so se veramente in quella generazione il materno fosse così positivo. Probabilmente per l’esperienza di Cortellesi è così, però io mi sono fatta molte domande su quell’aspetto del film. Non so se quella generazione ha veramente liberato le figlie; ho trovato questo materno un po' consolatorio.
Il bellissimo libro di Carmen Totaro di cui hai curato l’editing, Un bacio dietro al ginocchio, estremizza il conflitto madre-figlia raccontando una vera e propria guerra. Pensi che rispecchi il mondo di oggi?
Un bacio dietro al ginocchio è molto estremo, Totaro è sempre estrema nei suoi personaggi… . La mia generazione degli anni settanta è molto portata con i figli a evitare il conflitto e secondo me questo è dannoso per loro perché certi conflitti permettono di staccarsi mentre io vedo che ci sono ancora molti figli, anche dell’età dei miei, che tendono ad andare in vacanza con la famiglia. Anche a venticinque anni. C’è poco conflitto, poca separazione. Totaro mette invece in scena la separazione sempre, anche solo con l’emigrazione. Per l’esperienza personale, credo, venendo lei da un Sud ancora molto oppressivo. Il sud Italia, da me molto amato, mette luce molto di più che altre zone quella che è ancora una possibilità di conflitto con i genitori. Forse perché nel Sud ci sono situazioni ancora “arcaiche” dove i figli si ribellano, costruiscono un sé alla ricerca della separazione.
Emilia Pérez di Jacques Audiard, 2024.
A proposito di conflitto generazionale ed emigrazione mi viene in mente Lucy di Jamaica Kincaid.
Jamaica Kincaid è l’autrice del cuore della Totaro a cui avevo consigliato di rileggere Lucy, un libro che lei ha amato tantissimo. Anche Annie Ernaux, di cui abbiamo letto Il posto, mette in scena la separazione dal padre e dal luogo di nascita; nel libro ci sono continui slittamenti verso l’io esattamente come in Lucy. La presa di coscienza del sé dentro quel piccolo romanzo di Kincaid è lenta ma inesorabile: il primo step è l’emigrazione di Lucy dall’isola verso l’America e poi il suo rapporto con la donna che la ospita e che la “adotta” nonostante che lei in fondo non voglia essere adottata. Perché pensa che questa donna non sappia niente di lei e di cosa significhi profondamente emigrare e allontanarsi dalle proprie origini. C’è un rispecchiamento tra due femminili con storie diverse, in ogni caso un rispecchiamento. Io, in questo, sono molto “ferrantesca”: il rispecchiamento è sempre l’unico vero rapporto nell’esistenza di una donna e parte dal materno. Cioè, nel momento in cui tu riesci a separarti dal materno cerchi un rispecchiamento altrove negli incontri della vita e gli incontri in cui c’è un rispecchiamento sono quelli più importanti. Io penso che nell’amicizia in adolescenza ci sia moltissimo questo rispecchiamento che ti accompagna per un certo periodo della vita.
Tu hai curato l’editing di alcuni libri di Donatella Di Pietrantonio tra cui Età Fragile che è ha vinto il Premio Strega 2024.
Ho fatto l’editing praticamente di tutti i libri di Donatella Di Pietrantonio. Mi venne affidata dalla casa editrice Elliott in occasione del suo primo romanzo Mia madre è un fiume che aveva bisogno di essere lavorato, era molto roccioso, e da lì è cominciata la nostra collaborazione. È un lavoro che dura da quattordici anni; abbiamo fatto un lungo percorso insieme ovviamente io dietro e lei davanti come è giusto che sia.
Mi interessa sempre molto il mondo di provenienza di coloro che scrivono, dove cioè avviene il trauma. Io penso che le persone che scrivono abbiano subito o avuto a che fare con più traumi nella loro esistenza e tu che lavori con loro devi esserne a conoscenza perché puoi diventare vittima in qualche modo della loro frustrazione. Nel tempo questa cosa ti deve irrobustire, deve farti crescere perché a volte puoi stare male. Io nel tempo sono cresciuta, mi sono schermata per diventare sufficientemente forte e buona - direbbe Winnicott- per far sì che chi scrive possa anche rivoltarsi in certi momenti della vita. Con Di Pietrantonio è stato un rapporto lungo e anche fruttuoso, abbiamo trovato un equilibrio tra di noi nel tempo.
Tra cinema e letteratura c’è un legame stretto. Da Lolita di Vladimir Nabokov, Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen al recente Povere creature! di Alasdair Gray il cinema ha tratto dalla letteratura molti capolavori. Tu hai curato l’editing di due libri, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano e L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio da cui sono stati tratti i rispettivi film. Secondo te, cosa significa portare al cinema un libro?
Intanto bisogna dire questo: il fatto che si realizzi un film da un libro è sempre un onore. Premettiamo e partiamo da lì perché un film dà nuova vita ad un libro, vedi la messa in scena di qualcosa su cui hai lavorato. Una volta che tu hai pensato che il libro diventa altro devi accettare anche il risultato. I film sono sempre altro: il cinema per eccellenza è sempre più dinamico, deve riuscire almeno ad esserlo rispetto al libro. Mentre lo scrittore può soffermarsi con la scrittura, può stare dentro una pagina, il cinema non se lo può permettere. I risultati non sono sempre eccellenti. Certamente, rispetto a Povere creature! io credo che Yorgos Lanthimos abbia fatto una cosa migliore del libro di Alasdair Gray da cui è tratto il film. La mise en scène è talmente straordinaria, prende ispirazione dal libro ma va molto oltre! Può accadere che il libro serva da ispirazione ma poi tu ci metta del tuo. Bisogna vedere se metterci del tuo si sposa. Nell’Arminuta, per quanto mi riguarda, Giuseppe Bonito mette più l’acceleratore sul rapporto tra la madre biologica e la protagonista che ritorna nella sua famiglia. Io credo che nel libro della Di Pietrantonio quella relazione fosse meno spinta di come è nel film, che lei avesse puntato di più sull’emancipazione orizzontale e non su un ritorno dentro a quella maternità biologica e che la vera emancipazione fosse nella sorellanza. Bonito gira un film più conservatore, questa è una mia sensazione. Per quanto poi il film abbia delle parti molto riuscite, l’idea per me è meno innovativa rispetto al libro.
Come il cinema ha modificato la narrativa? Penso a certi libri che sembrano già sceneggiature.
Questo però è un male nel senso che la cosa importante all’interno della letteratura è lo stile. L’autore non deve mai perdere il suo immaginario e in una parte di questo immaginario lo stile ha un ruolo preponderante. Secondo me alla fine non paga mai un libro che sembra “pronto” per una serie televisiva ma che è povero di stile ossia di lingua immagini parole che devono essere quelle e non altre. Indubbiamente la serialità ha influenzato la letteratura; certo, non posso dire il contrario. I dati oggi sono sconfortanti su quanto un lettore sia in grado di assorbire dello stile perché lo stile è anche impegno, è integrare qualcosa di qualcun altro; meno stile c’è meno tu devi integrare. È sempre poi un discorso sull’integrazione, su quanto noi oggi siamo pronti ad integrare.
Com’è cambiata la scrittura oggi?
Non voglio essere generica però sicuramente c’è un po' d’impoverimento, mentre il cinema ha battuto un colpo: veniamo da un anno di film internazionali autoriali molto importanti. Stamattina per esempio ho visto il nuovo trailer del film di Jacques Audiard, Emilia Pérez; è un film straordinario per un regista della sua età, pieno di personalità. Io come editor chiedo quello: autorialità personalità visione non solo storie. Sì le storie ma non sono soltanto quelle a fare davvero un libro. È principalmente un’ispirazione, una visione del mondo, è la visione delle relazioni, la lingua, il pensiero.
E i personaggi?
I personaggi, certamente, ma lo stile è anche personaggio. Nella letteratura mass market non mancano i personaggi, manca più lo stile, manca l’approfondimento, manca la verità. Io sono molto alla ricerca della verità.
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