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Cinema e donne

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Roberto Herlitzka

Con lui si chiude la linea che separa i geni dagli altri.

Mauro Conciatori

“Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige, (…)”

 

E siamo arrivati alle ultime terzine incatenate della “Commedia”, esattamente il XXXIII canto del Paradiso. Dei versi dell’immortal Dante Alighieri, Roberto Herlitzka ne è stato il “geométra” indiscutibile, “misuratore della terra e dell’uman gente”. Ogni singola parola “mossa” dallo straordinario attore torinese prendeva vita, non solo forma, in immensa definizione di un mondo “alto” e di virtù “uniche”. Rime che sembrano scritte appositamente per esaltare le capacità di Herlitzka che come nessun altro controllava e dirigeva la grandezza dell’opera dantesca; di contralto il maestro era, in una sorta di transfert, lo stesso Dante immerso nei passaggi che muovono la vita di noi umani. 

Il film, di impianto teatrale, Herlitzka “IN” Dante, mostra in 6 canti, per il maestro tra i più significativi della “Commedia”, la perfetta osmosi tra i due grandi geni della cultura italiana, diversi nei tempi e nei modi, entrambi unici; due geni uniti dalla sapienza con la quale esplorano donne e uomini, relazioni e contrasti, amori e tradimenti, dolori e passioni, drammi e historie. Demiurghi della parola con la quale “giocano” per edificare come “geométri” il grande affresco della vita. Ed ora che Roberto Herlitzka è asceso nel paradiso dei geni, questo film, il suo ultimo, diventa un testamento che racchiude tutta la sua carriera, la sua vita, la sua passione per i versi danteschi. Già provato nel fisico, costretto a stare seduto, Herlitzka usa parola, volto e mani per dar fisicità dove la linea temporale sbarra le porte a sezioni essenziali per un attore. Lui ne fa una forza, esalta i profondi solchi del suo viso, le labbra schiuse in smorfie, le dita dinoccolate pronte a carpire lo spazio e subito dopo a chiudersi in pugni di rabbia compressa, che esplode in lacrime asciutte che illuminano gli occhi. Potenza e bellezza del genio, fragilità e debolezza dell’uomo. Quell’uomo, in senso lato, protagonista della Commedia, che brancola alla ricerca della propria identità, un uomo debole e confuso, vagante per un mondo meraviglioso ma ostile, un mondo nel quale Herlitzka e il suo doppio (lo specchio che ne riflette il capo posteriore) emergono dalle tenebre di uno spazio vuoto, di un teatro vuoto, di una parete di mattoni a vista, dove tutto è vivo e morto al tempo stesso. Quello dell’uomo è un urlo di vitalità, un’affermazione di essere parte di un mondo dove gli dèi sono scomparsi da un pezzo ed esistono soltanto le rughe del tempo, incatenate sul volto del vate…

“tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.”

 

 

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