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The Black Hole of Meaning

Ri-mettere in scena il trauma nel cinema documentario contemporaneo di Samuel Antichi

Dafne Leda Franceschetti

Recensione

«Ho speso la mia vita cercando di capire la funzione del ricordo, che non è l’opposto dell’oblio, ma piuttosto il contrario. Noi non ricordiamo mica, noi riscriviamo la memoria così come si riscrive la storia»

 

Ogni capitolo del bello e accurato libro dello studioso di cinema Samuel Antichi, The Black Hole of Meaning. Ri-mettere in scena il trauma nel cinema documentario contemporaneo, edito da Bulzoni per la collana “lanterna magica”, introduzione e conclusioni comprese, iniziano con una citazione posta in epigrafe; in questo caso la citazione è desunta dal capolavoro di Chris Marker, Sans Soleil, film del 1983 che indaga sulla natura della memoria umana, un viaggio filosofico per immagini nei meandri del tempo e dei ricordi, che infrange le leggi (scritte e non) del cinema documentario. Una citazione perfetta per chiudere un testo, quello di Antichi, che muove i suoi passi proprio da una doppia difficoltà del cinema documentario, le prima è quella che già negli anni Trenta del Novecento aveva riscontrato il regista e teorico John Grierson definendo il cinema documentario «a creative treatment of reality»[1]: con un semplice aggettivo, «creativo», stava di fatto smontando, cito dal testo di Antichi, «la pretesa dell’oggettività assoluta dell’immagine filmica e il rapporto ontologico con la realtà filmata».[2] La ri-elaborazione creativa è un passaggio assolutamente necessario, tanto più se ci si ricorda che il cinema sin dalla sua origine, e dal quel celeberrimo treno che arrivava alla stazione di La Ciotat, recava e reca in sé una doppia essenza, una doppia ontologia, in cui il cosiddetto cinema del reale e il cinema di finzione si compenetrano invece che opporsi l’uno all’altro.[3]

Tuttavia, oltre a presentarsi come un dato ontologico nell’epoca che Lyotard definì «postmoderna», l’aspetto performativo del documentario, questa possibilità di ri-messa in scena, diviene una necessità di fronte alle difficoltà ed alla mancanza di fiducia «nell’abilità della macchina da presa di riflettere verità oggettive di un qualunque referente sociale»:[4] il risultato non può che esserne una conoscenza frammentaria, i cui linguaggi sono ibridati.

Antichi qui si muove dunque nel tracciato teorico di Linda Williams, guardando con attenzione e cura al dibattito sul new documentary che ha animato l’ultima metà del secolo scorso, e lo fa mettendo in relazione quella rilevata necessità del documentario di drammatizzare gli eventi storici messi in scena all’impossibilità di verbalizzare e rappresentare l’evento traumatico, a partire dal momento spartiacque del trauma per eccellenza del Nostro secolo, ovvero l’Olocausto. La stessa nozione di evento storico cambia faccia a seguito dell’«holocaustal event»;[5] sappiamo bene che c’è un prima e c’è un dopo, e quest’immaginaria quanto imponente linea di separazione segna una volta per tutte il principio di irrappresentabilità alla base della «trauma theory».

Quello che interessa all’autore nel corso del testo, prodotto della sua tesi di dottorato, è appunto attraversare in prospettiva interdisciplinare vari campi di ricerca, dall’antropologia visiva alla psicoanalisi, alla letteratura, all’etnografia, per andare così a sondare le diverse possibilità del cinema documentario post-moderno, o meglio, post-traumatico, interrogare l’immagine filmica nei suoi multiformi linguaggi utilizzati, più che mai ibridi, utilizzati per ri-mettere in scena in modo assolutamente e doverosamente frammentario quella realtà indicibile e ormai, altrimenti, irrappresentabile: dal lavoro originale sugli archivi all’animazione, all’arte performativa, con lo scopo, come ricorda l’autore stesso, di suggerire nuovi percorsi e nuove prospettive per esplorare il nostro sguardo e le profondità anche oscure della nostra memoria.

 

 

 

[1] GRIERSON John, The Documentary Producer, «Cinema Quarterly», vol.2, n.1, 1993, pp.7-9

[2] ANTICHI Samuel, The Black Hole of Meaning. Ri-mettere in scena il trauma nel cinema documentario contemporaneo, Roma, Bulzoni, 2020, p. 19

[3] Si veda a tal proposito DOTTORINI Daniele, La passione del reale: il documentario o la creazione del mondo, Milano-Udine, Mimesis, 2018.

[4] WILLIAMS Linda, Mirrors Without Memories: Truth, History and the New Documentary, «Film Quarterly», vol.46, n.3, Spring 1993, pp.9-21.

[5] ANTICHI Samuel, The Black Hole of Meaning. Ri-mettere in scena il trauma nel cinema documentario contemporaneo, cit. p.27

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