☰  
×
eidos

Cinema e guerra

Nel film

Ti mangio il cuore

L’Eterno della guerra fratricida e il taglio del femminile post-moderno

Chiara Buoncristiani

La guerra fratricida può essere il principale sponsor dell’Eterno. E’ così che l’immutabilità del trauma diventa principio organizzatore totale. Una faida blocca qualunque accesso al tempo e nega ogni cambiamento. L’immobilità dell’odio si installa in un’interminabile catena di morte. Come se ne esce?

La parabola di Ti mangio il cuore di Pippo Malapesa (in concorso alla Mostra di Venezia 2022 nella sezione Orizzonti) fa riflettere e colpisce perché intercetta la possibilità di un taglio e ne identifica la condizione nell’introduzione di elemento eccentrico, irriducibile, così potente da provocare una discontinuità nel flusso indifferenziato di ciò che non può alterarsi.  Questo elemento è identificato in Elodia, vista come cuore pulsante del femminile post-moderno. Un cuore che provoca un cambiamento catastrofico forse proprio perché resiste: non si fa mangiare dalla macchina narrativa di una storia già scritta.

 

 

Geniale e matto al punto giusto è il modo in cui il film realizza questa operazione, che avviene attraverso la commistione di una pluralità di codici simbolici meta-testuali e di riferimenti culturali apparentemente inconciliabili. La storia è ispirata all’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini che narra la vicenda reale della prima pentita di mafia del Gargano.

In questo spazio di significati Malapesa piazza Elodie. Che è l’Elodie della hit estiva Tribale, ma anche donna icona che fa da cinghia di trasmissione tra un certo contesto underground e la cultura pop, arrivando perfino a influenzare tanto gli stili delle ragazzine quanto la Moda con la M maiuscola (durante Sanremo si è scritto che la tendenza per le prossime sfilate, prima che sul palco, era stata data dal party di Elodie).

Il regista, che in questo film è anche uno degli sceneggiatori, punta sull’eterogeneità dei codici espressivi. Fa infatti un innesto che sorprende e da solo regge il film. Immagina di poter far collidere il corpo di Elodie, che da solo esprime la mutazione antropologica del femminile post-moderno, in un contesto sociale e di senso che più arcaico, ancestrale, maschilista ed estremo non poteva essere: due famiglie malavitose, due “tribù” coinvolte in una faida in uno stesso paesino del Gargano.

L’efficacia di questa mossa consiste appunto nel prendere una “figura del contemporaneo”, un “sintomo” di un clima nuovo: femminile in una società che ha abbandonato le ancore della sessualità tradizionale, dei ruoli e delle identità e posizionarlo dentro l’universo di un mito, la guerra fratricida, che in sé rappresenta l’essenza di quello che non può essere modificato e può solo perpetrarsi, la faida.  

La pellicola è una tragedia di shakespeariana efferatezza, in cui gli amanti, un po’ alla Romeo e Giulietta, all’inizio sembrano le schegge impazzite a cui il sistema farà pagare la trasgressione erotica. Al tempo stesso siamo in un film neo-realista stilizzato. Un bianco e nero espressionista in cui i paesaggi sembrano scenografie disegnate da un Van Gogh allucinato. Una vicenda d’amore, di sangue e di vendetta all’interno di un microcosmo formato da due famiglie rivali che si contendono la supremazia criminale.

Sul promontorio del Gargano, ci dice subito la scena iniziale, le guerre si risolvono senza fare prigionieri. Non ci sono superstiti per una violenza che non incontra pietà. Qui le stagioni sono scandite solo dalle processioni della Madonna, le campagne sono brulle, le pietre hanno visto troppo e le bestie, dai maiali, alle pecore alle vacche sono in una confidenza quotidiana con gli esseri umani. Che però dagli animali non imparano nulla. L’odio è incastonato in un episodio del 1960, quando si compie lo sterminano di una intera famiglia in pochi attimi. E’ allora che Michele, appena un bambino, riesce invece a sopravvivere agli assassini e nel tempo compie la sua vendetta. Il presente è il 2004: ancora da una parte i Camporeale e dall’altra i Malatesta, due famiglie che da troppo tempo si odiano ma che sono ora pervenute a una tregua. L’amore impossibile che però esplode improvviso tra Andrea Malatesta e Marilena, moglie di un boss latitante dei Camporeale e madre dei suoi figli, trascinerà nuovamente tutti in una violentissima spirale di sangue e morte.

Passo dopo passo, il pacifico Andrea comincia la sua discesa agli Inferi. Spara e uccide. Cede al potere mortifero della sete di vendetta della propria madre, che Marilena definisce infatti “l’albero del veleno”. Dopo l’ennesimo folle assassinio è rivelatrice la scena in cui Marilena trova Andrea abbracciato a dormire nel letto con la propria madre: un collegamento che la sceneggiatura opera tra la seduzione incestuale, che non rispetta limiti né confini, e la faida fratricida. Qui Marilena comprende e probabilmente è questo il momento in cui decide di scardinare l’impianto, di fare la rivoluzione e diventare “pentita” di mafia.

In Ti mangio il cuore la faida si configura come la processualità di un legame perverso. In questi casi la guerra è un da sempre e per sempre. Una tessitura che annoda distruttività e identità. Le memorie transgenerazionali attraversano i vissuti delle famiglie come ferite insanabili. La guerra fratricida somiglia al Dio della più spietata fra le religioni monoteiste, quella in cui l’Altro, il vicino, il figlio della stessa terra, ma “diverso da me”, deve essere fatto fuori: è un nemico.

Come un rito, come la ripetizione di un trauma che però ti ricorda chi sei, da dove vieni, qual è l’unico modo possibile di stare al mondo. Soprattutto come un vettore che ti aggancia a un destino: là dovrai andare. Anzi, là dovrai finire. Quando è così sembra non esserci alternativa. I tanti conflitti tra popoli “fratelli” che ancora insanguinano la Terra ne sono una testimonianza. E forse la distruttività fratricida rappresenta una forma così difficile da trasformare proprio perché affonda le proprie radici in un clima incestuale che fa fuori la temporalità e che diventa il “primo motore immobile” della guerra.  In questo contesto una “Elodie” rappresenta l’elemento separatore. La cifra di una nuova organizzazione possibile. Il big bang e l’inizio del tempo che fa irrompere il futuro con il gesto di far cadere a terra un velo nero. 

 


Titolo originale: Ti mangio il cuore

Paese di produzione: Italia Anno di produzione: 2021

Regia Pippo Mezzapesa
Cast: Elodie, Francesco Patanè, Lidia Vitale, Francesco Di Leva, Tommaso Ragno, Michele Placido

 

Vedi tutto il numero





La redazione è a disposizione con gli aventi diritto con in quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani o delle foto riprodotti in questa rivista.