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Cinema e donne

L'altro film

Welcome to the river

Dal trauma migrante alla “creolizzazione affettiva”.

Nicola Malorni

Aisha (la giovane nigeriana protagonista del corto), tra le migliaia di donne vittime di violenza e di tratta, riesce a liberare e a rigenerare sé stessa grazie al potere trasformativo dell’affettività gentile, paziente, “che riempie il cuore di gioia e di pace”. È il fiume, o forse lo spirito della dea Oshún, protettrice delle acque dolci e della vita, a sussurrarlo, a lei e a noi, attraverso i versi dell’acqua, simbolo vivificante della vita che accompagna la ricerca di libertà della giovane nigeriana, fino a quando un’epifania di immagini, musica e parole ci informa che “tutto è compiuto”.

È questa la forza curativa dell’ascolto e della condivisione, della narrazione e della simbolizzazione, ed è questo il messaggio di Welcome to the river al mondo: non può esserci salvezza senza incontro, non può esserci speranza senza scambio.

Barbara Massimilla, regista di questo straordinario film patrocinato da Amnesty International Italia, esprime in questo modo la complessità dei processi di cura di cui è testimone grazie all’impegno con l’Associazione DUN[1]: “Trovare la via dell’immaginazione creativa per lenire le ferite dei nostri limiti ci aiuta ad elaborarli e a non desistere dall’essere visionari nel prefigurare possibili vie di fuga dove una buona vita per l’altro è ancora possibile”.

Commenta in questo modo il travaglio interiore dell’analista che ha incontrato decine di donne vittime di tratta e di violenza, ma lo fa anche sapendo che queste parole sono le stesse di Aisha, e di quelle donne che riescono a connettersi con il proprio “sogno di salvezza”, grazie all’affettività e alla propria immaginazione creativa. 

 

È al suo secondo cortometraggio, Barbara Massimilla, dopo Intrecci[2], nato dall’impegno di DUN nella ricerca di speranza, uguaglianza, e di S-Cambi[3]  di culture diverse che mostrano la capacità di intrecciarsi, appunto, creolizzandosi [4]- come afferma Édouard Glissant - senza denaturare la propria identità. Ma questa volta la regista, psicanalista e attivista impegnata dal 2015 nel contrasto delle violenze di genere e, nello specifico, nella denuncia della tratta, tenta su sua diretta ammissione di elaborare attraverso Welcome to the river anche il proprio dolore di analista, scaturito da cure difficili che, inevitabilmente, espongono chiunque tenti un percorso analitico con vittime di traumi complessi a sentimenti di impotenza di difficile elaborazione.

Il tema della “cura” come via di salvezza per le vittime di tratta ha ispirato il soggetto e la sceneggiatura del cortometraggio, testimonianza viva di esperienze terapeutiche come quella di Aisha che giunge a riconnettersi con il proprio “genitore interiore” fino a dirsi di poter “essere figlia di me stessa”.

Nel corso della narrazione assistiamo ad un processo trasformativo che porta la protagonista, attraverso il contatto doloroso con le memorie traumatiche e l’elaborazione delle perdite che hanno segnato la sua infanzia e la sua prima adolescenza alla valorizzazione della propria affettività e appartenenza culturale.

Nell’approccio alla cura dell’Associazione DUN, fedele all’insegnamento junghiano, la psiche è sempre culturale. La via della cura e la salvezza, per questo, si snodano dall’intreccio di ricordi traumatici e di stati regressivi che affiorano nella stanza d’analisi, mutando progressivamente attraverso incontri capaci di veicolare codici affettivi e culturali incentrati sulla fiducia nell’Altro: l’Altro che accoglie, ascolta ed osserva (l’analista con la Sand Play Therapy); l’Altro che dona la propria speranza (una donna domenicana dona un talismano ad Aisha rappresentativo di un Femminile simbolo di tutte le etnie); l’Altro che ricorda che l’amore autentico è gratuito e reciproco (il clochard poeta a cui la protagonista può a sua volta fare un dono); l’Altro che valorizza la propria cultura come fonte di forza e di coraggio (il percussionista senegalese che attiva contro il male il ritmo e la danza). E c’è anche l’Altro transpersonale, la dea dell’acqua e della fertilità Oshún, genius loci del fiume Niger che, attraverso i miti e i rituali della propria cultura, è possibile evocare.

Lo sa bene Aisha che con la sua maschera etnica ha un rapporto profondo e taumaturgico: più potente di un talismano, è la Madre ma anche la sua assenza, è il conforto della protezione genitoriale ma anche l’anelito alla separazione trasformativa e, in altri termini, ciò che la psicoanalisi riconosce come “oggetto transizionale”[5], appunto, oggetto catalizzatore di processi di separazione e individuazione.

Nella stanza d’analisi, anche mediante il dispositivo della Sand Play Therapy, la giovane protagonista vive una nuova esperienza del Limite: se nella sua vita questo si era manifestato come trauma, perdita, separazione, o anche come confine geopolitico e culturale drammaticamente associato al trauma migrante e alla tratta, in analisi si fa luogo accogliente di scambio, sia materiale che immateriale. Aisha chiede al suo analista se può utilizzare nel gioco anche il talismano donatole dalla donna domenicana, incontrata per caso sulla strada che costeggia e affaccia sul Tevere (il fiume del nuovo mondo, un limite anch’esso concreto e simbolico tra il passato traumatico e le opportunità trasformative del presente). L’introduzione di quell’oggetto (una rappresentazione simbolica di un Femminile multietnico) “estraneo” al setting dell’analisi segna l’avvio di un “negoziato” tra dimensioni intrapsichiche e intersoggettive, tra memorie traumatiche coattivamente riattualizzate nella vita  e la simbolizzazione di uno spazio libero e protetto (la stanza d’analisi, la relazione analitica, la sabbiera), ove il Limite non è più una barriera ma luogo di scambio fertile e creativo, recuperando il significato profondo di “Limen” (per i romani la soglia della domus, un bordo valicabile dal visitatore) e superando invece quello di “Limes” (inteso nella lingua latina come barriera invalicabile, confine geopolitico fortificato).

 

 

In Welcome to the river, come nella stanza d’analisi, il Limen esiste per essere sempre travalicato attraverso lo s-cambio creativo con l’Altro. Se il Limes, attraverso la forza frammentante del trauma, si era rivelato prima esclusivo (nel senso di escludente, separativo in modo traumatico), inclusivo è invece il Limen delle nuove relazionipermeabili anche all’estraneo e ai timori che l’Altro genera. L’incontro con l’Altro, attraverso il calore dell’affettività, si fa dun (focolare, casa), terreno fecondo di ibridazione[6] ove è possibile osservare processi che producono, riproducono, neutralizzano, creano, definiscono e ridefiniscono identità e individualità: la relazione promuove, sulla soglia rispettosa e accogliente dell’incontro, il riconoscimento soggettivante e rigenerativo dei diversi attori coinvolti come soggetti com-patici[7].

La narrazione filmica restituisce mitopoieticamente centralità a tutti i soggetti come agenti di trasformazione. Assistiamo, incontro dopo incontro, alla dilatazione creativa dei confini dell’Io di Aisha, attraverso processi integrativi che ne espandono progressivamente il raggio di azione. Sono, infatti, le azioni intersoggettive tra Aisha e gli altri a ridefinire i confini e, nel farlo, delineano sistemi in opposizione così da poter operare una trasformazione imprevedibile sia di questi stessi sistemi che delle soggettività che li abitano: il clochard poeta accetta il denaro di Aisha avvertendola che quella sarà l’ultima volta che prende dei soldi per farla felice; il percussionista senegalese suona, ascolta e suona coinvolgendo Aisha in una sorta di rituale sciamanico capace di evocare la dea Oshún, questa volta in riva al fiume Tevere, di fronte alla quale la madame nigeriana non può far altro che fuggire: “conosce sempre cattivi, quando viene una strega, l’acqua diventa sabbia per non farsi prendere” – racconta Aisha dei poteri della dea del fiume. 

Welcome to the river è testimonianza di possibili processi di “creolizzazione affettiva”, innescata dall’agire individuale all’interno di una rete relazionale in continuo mutamento: sono agenti di trasformazione tutte le persone che Aisha incontra sul suo cammino (l’analista, la donna domenicana, il percussionista senegalese, il clochard), individui che non si adeguano alle regole del sistema che aveva designato Aisha come vittima. Un sistema relazionale e culturale così riconfigurato permette al “creolo affettivo”[8] di Aisha (un codice affettivo interno reso ibrido e creativo dall’incontro con l’Altro) di passare da un livello all’altro, da un microsistema relazionale ad un altro, e di conseguenza ad elaborare e integrare gli aspetti traumatici della propria identità a favore di altri. Questo processo è reso attuabile grazie alla possibilità di tradurre contemporaneamente la propria individualità su differenti piani: affettivo, relazionale, sociale, immaginale, culturale.

Nella stanza d’analisi Aisha ha la possibilità di rappresentare prima per immagini (l’aquila utilizzata in una scena della Sand Play Therapy, simbolo di maleficio), poi per parola, il potere anti-individuativo di un rito religioso-magico di coercizione: “In Nigeria ho fatto il juju[9]. Ho giurato obbedienza allo spirito e ai trafficanti, sentivo l’urlo dello spirito, era a forma di aquila. Nel deserto di notte sentivo gli spiriti dei morti, la loro voce urlava nell’orecchio, sono stata violentata in Libia (…)”.

Ma in Italia, Aisha e i suoi nuovi “compagni di viaggio”[10] sono attivatori di processi di creolizzazione affettiva in base ai quali il concetto di confine come dispositivo escludente, traumatico e dis-individuativo (limes) mostra sempre più la sua inadeguatezza, soprattutto nel momento in cui nuovi confini attraversano e intersecano vecchi spazi di appartenenza (i ricordi traumatici di Aisha e la loro riattualizzazione). Per questo, il sistema interno di ristrutturazione che caratterizza la creolizzazione affettiva tende a neutralizzare i dispositivi esclusivi della tratta aprendosi a nuovi spazi geopolitici e culturali (dalla stanza d’analisi alla sequenza di incontri con i nuovi “compagni di viaggio”). La stratificazione interna dello spazio di cittadinanza di Aisha si estende a nuovi territori, a differenti soggettività e, attraverso il cinema, potenzialmente al mondo.

Per poter abitare il mondo, Aisha deve essere vista o come individuo che “incarna” un repertorio di identità o, all’opposto, come individuo che tenta di riconfigurare lo spazio sociale attorno a sé a partire dalle proprie azioni (nella sabbiera come anche nella vita).

È questo secondo punto di vista che mi porta a ipotizzare una nascente “attitudine creola” in Aisha, che dà forma alla prospettiva generale di questo straordinario cortometraggio sul fenomeno sociale, culturale e politico della tratta e della violenza sulle donne: l’accoglienza e la cura delle donne vittime di tratta e di violenza devono poter contare su dispositivi di creolizzazione affettiva specifici dei contesti di cura (percorsi analitici e interventi di empowerment in ambito sociale), ma anche non specifici come il cinema sociale e altri interventi di promozione sociale e culturale. 

 

Titolo originale: Welcome to the river

Paese di produzione: Italia

Anno: 2024

Regia e Soggetto: Barbara Massimilla

Fotografia: Carlo Sgambato

Montaggio: Silvia Di Domenico

Musiche: Alessandro Salvatori

Cast: Fulfilment Okocha, Ismaila Mbaye, Gladys Omomoro Stephen, Leonardo Albrigo,

Jacob Olesen, Francis Irene Nunez Dionicio, Mamadou Dembele, Samba Sangare,

Luca Cianflone, Emma Johanna Elisabeth Wedahl
 

 

 

[1] Onlus romana dedicata alle cure psicologiche gratuite ai migranti, rifugiati e, in particolare, alle donne vittime di tratta e violenza. DUN (termine armeno che sta per casa, focolare) è stata fondata da psicoanalisti e psichiatri ed opera nel sociale offrendo un luogo di ascolto, riconoscimento e cura per ricostruire la propria casa interiore attraverso l’incontro con l’altro, la riflessione psicologica e la creatività.

[2] Prodotto nel 2022 da Fondazione Migrantes (organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana) con la regia di Barbara Massimilla, è stato vincitore di quattordici premi in concorsi cinematografici internazionali.

[3] L’impegno di Barbara Massimilla si concretizza annualmente anche in una delle più apprezzate rassegne cinematografiche del nostro Paese sul tema del fenomeno migratorio e delle violenze sulle donne: “S-Cambiamo il Mondo”. Ideata e curata da Barbara Massimilla, è organizzata annualmente presso la Casa del Cinema di Roma dall’Associazione DUN.

[4] La creolizzazione è un fenomeno di ibridazione di lingue e culture, tipico di alcune aree coloniali.

 

[5] Winnicott D. W., 1951, “Oggetti transizionali e fenomeni transizionali”, in Gioco e realtà, Armando, Roma, 1971.

[6] Losi Natale, “Non di sola etnopsichiatria … Creolizzare le idee e vivere (comunque) felici e contenti”, in Rivista di Psicologia Analitica, NoiAltri, Vol. 85/2012 n. 33, Editore Gruppo di Psicologia Analitica, Roma, 2011, p. 119.

[7] Malinconico A., 2009, Psicosi e psiconauti, Magi, Roma, p. 42.

[8] Il termine “creolo” fu utilizzato per indicare persone di origine europea nate nelle colonie del Nuovo Mondo, per distinguerle ed enfatizzarne i costumi mutati rispetto agli immigrati di classe elevata nati in Europa. Una lingua creola è invece una lingua ibrida ben definita (con precise strutture di linguaggio) che ha avuto origine dalla combinazione di due o più lingue, senza che si sia verificata la prevalenza dominante dell’una sull’altra.

[9] Una cerimonia in cui il native doctor preleva sangue, pezzi di unghia e peli pubici della giovane donna, mischiandoli con delle erbe che costituiranno un preparato da applicare sulle ferite che le vengono appositamente inferte sul corpo. Attraverso il giuramento che avviene in questa cerimonia la ragazza si impegna a pagare le spese del viaggio per arrivare in Europa: contrae così un debito che sarà in realtà sempre molto più alto del costo del viaggio. E in Italia scoprirà che dovrà pagare quel debito barattandolo con la propria libertà. Il juju è quindi uno strumento religioso-magico di coercizione: avvia la “schiavitù da debito” e condiziona le donne, incastrandole nel circuito della tratta, convinte che se dovessero rompere il giuramento ne morirebbero, si ammalerebbero gravemente o impazzirebbero. Loro o qualcuno della loro famiglia.

[10] Utilizzo la metafora di “compagni di viaggio”, di cui sono grato a Paolo Aite che considera tali i nostri analizzandi, testimoni partecipi insieme all’analista del “tentativo analitico”. Nel cortometraggio, come spesso nella vita, eventi apparentemente casuali costellano nell’incontro con l’Altro fattori di trasformazione decisivi.

 

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